Watchdog journalism all'italiana

Nelle democrazie il giornalismo svolge un ruolo fondamentale poiché consente alla popolazione di informarsi sull’andamento dei programmi politici proposti dai partiti e adottati e perseguiti dagli organi democratici dello Stato. Nei paesi di lingua anglosassone questa particolare funzione del giornalismo è definita “watchdog journalism”.

Watchdog journalism

Secondo una consolidata tradizione giornalistica di stampo anglosassone i mass-media rappresentano il quarto potere. Gli altri tre poteri sono il legislativo, il giudiziario e l’esecutivo e sono stati enunciati nella teoria della separazione dei poteri dello Stato di Montesquieu.

Il quarto potere svolge una funzione fondamentale per l’esercizio della democrazia, che consiste nell’informare sulle attività istituzionali svolte dai rappresentanti eletti al fine di consentire ai cittadini di giudicarli, nonchè di verificare il mantenimento degli impegni assunti nei confronti degli elettori durante la campagna elettorale.

Similmente, la definizione "watchdog journalism" (tradotto alla lettera come "giornalismo cane da guardia") indica la funzione di sorveglianza che il giornalismo svolge a tutela della democrazia e del pluralismo delle opinioni.

La funzione svolta dai mass-media nel ruolo di quarto potere o di "watchdog journalism" consiste quindi nel mettere sotto pressione il potere politico, attraverso la diffusione di informazioni e la realizzazione di inchieste e reportage. Ed è proprio la critica, la contrapposizione, il contradditorio con il potere politico a differenziare questo tipo di giornalismo dal classico giornalismo d'inchiesta che è meno incline alla spettacolarizzazione dell'informazione e al coinvolgimento della politica, più orientato all'approfondimento e alla ricerca della verità.

In Italia non c'è una vera e propria tradizione di "watchdog journalism" anche se negli ultimi anni questa funzione dell'informazione si è andata sviluppando. Come viene interpretato il "watchdog journalism" in Italia? Il "watchdog journalism" all'italiana riesce ad informare i cittadini sulle attività svolte dai loro rappresentanti eletti nelle istituzioni, a mettere sotto pressione il potere politico e in ultima analisi a tutelare la democrazia?

Purtroppo no perchè il "watchdog journalism" all'italiana è vittima sia di una distorsione che di un paradosso.

La distorsione è data dal fatto che il potere politico viene erroneamente identificato con il governo inteso come istituzione. Forse per una illusione generata dai falsi cambiamenti istituzionali introdotti con la cosidetta "seconda repubblica" i mass-media cadono nell'errore di identificare il Governo come il principale se non l'unico detentore della funzione di indirizzo politico del paese.

Agli inizi della seconda repubblica questo travisamento della realtà istituzionale poteva anche essere giustificato da almeno due fattori. Il primo consisteva nella corrispondenza diretta che si venne a creare tra la coalizione di centrodestra guidata da Silvio Berlusconi ed il governo del paese, per cui il ruolo del Parlamento e in particolare la formazione di una maggioranza parlamentare e il conseguente voto di fiducia assumevano un carattere prevalentemente formale. Il secondo consisteva nella concentrazione di poteri in capo al leader del centrodestra, Silvio Berlusconi, che oltre al potere politico derivante dalle elezioni, assommava nella sua persona un notevole potere mediatico ed un consistente potere economico. Questa forza extraparlamentare consentiva al leader del centrodestra di tenere unita e di gestire la coalizione anche senza accordi parlamentari post-elettorali. Ma nonostante questi fattori rafforzassero non poco la figura del Presidente del Consiglio e il Governo, anche in quel periodo la storia ci ha consegnato esecutivi tutto sommato deboli e poco incisivi.

Infatti, che i Governi in Italia siano deboli e costretti a muoversi su un sentiero molto stretto e già tracciato dalle segreterie dei partiti eletti in Parlamento è sempre stata la norma. Tutta la prima repubblica, nonchè parte della seconda, è stata caratterizzata dalla formazione di governi instabili, poichè soggetti ai dictat e ai veti incrociati dei partiti.

A una parte del "watchdog journalism" all'italiana sfugge che in Italia i Governi hanno spesso rappresentato il capro espiatorio offerto dai partiti ai mass-media e all'opinione pubblica per mondarsi dei propri errori, delle proprie inadeguatezze, delle proprie disonestà e brutture, per poter continuare ad agire indisturbati.

Infatti, il paradosso del "watchdog journalism" all'italiana è che, nel chiedere conto degli errori della politica all'istituzione sbagliata (il Governo), finisce con il fare il gioco dei parlamentari e dei partiti (il Parlamento) aiutandoli a deresponsabilizzarsi. In sostanza, il watchdog journalism all'italiana non solo non riesce a mettere sotto pressione i partiti politici e i parlamentari, ma rischia di diventare loro complice nello scaricabarile delle responsabilità politiche.

A riprova basta evidenziare come in Italia i tracolli di alcuni partiti e la fine di numerose carriere politiche siano da imputare quasi esclusivamente alle inchieste della magistratura, all'intervento del potere giudiziario, certamente non all'intervento del quarto potere, come invece generalmente accade in altri paesi occidentali.

Per individuare correttamente le responsabilità di governo occorrerebbe che queste siano distinte e tenute separate dal Governo istituzione. Il Governo inteso come organo dello Stato è titolare del potere esecutivo, cioè il suo compito principale è quello di far applicare le leggi prodotte dal Parlamento. Il Governo ha si poteri normativi, ma la sua capacità legislativa è limitata ai decreti legge (che necessitano di una successiva approvazione del Parlamento) e ai decreti legislativi (che necessitano di una preventiva approvazione del Parlamento), inoltre l'emanazione di decreti esecutivi è temperata dal principio di imparzialità della pubblica amministrazione. Per quanto riguarda invece la funzione di indirizzo politico occorre evidenziare che il Governo non può esercitarla in modo arbitrario, poichè il meccanismo del voto di fiducia lo costringe ad assecondare le indicazioni della maggioranza parlamentare, cioè le indicazioni scaturite dall'accordo tra i partiti che compongono la maggioranza parlamentare.

Nella sostanza un paese si governa attraverso le leggi e le leggi le fa il Parlamento, non il Governo. Se il Parlamento usa male il suo potere legislativo non c'è Governo che possa intervenire a raddrizzare la situazione.

Una legge approvata dal Parlamento dietro pressione del Governo, ad esempio con la richiesta della questione di fiducia, non rappresenta affatto una legge imposta dal Governo al Parlamento come alcuni partiti vorrebbero far credere, ma rappresenta semplicemente il modo di superare le difficoltà che i partiti hanno nel tenere fede all'accordo che ha dato vita alla maggioranza parlamentare, ovvero la difficoltà dei partiti di far votare i propri parlamentari in conformità alle decisioni della maggioranza.

E' nel Parlamento e nei partiti che si annidano i guasti, non nel governo. Di fatto, in Italia i governi hanno spesso costituito l'anello debole del potere statale, anche se per ovvie ragioni non hanno mai evidenziato i propri limiti (solamente Silvio Berlusconi, un presidente del consiglio sui generis con un forte sostegno popolare, lamentò che non lo lasciavano governare).

Eppure, paradossalmente, è sui governi che si concentrano le speranze dei cittadini e quasi tutte le critiche dei mass-media.

Forse incosciamente gli italiani sentono il bisogno di un governo forte, un governo in grado di deviare dallo stretto sentiero imposto dagli accordi dei partiti della maggioranza parlamentare, un governo che possa agire autonomamente e promulgare tutte le leggi e le riforme di cui il paese avrebbe bisogno?

Di fatto, quando cadono i governi i cittadini guardano con sempre maggiore disaffezione una rappresentazione trita e ritrita, definita non a caso "teatrino della politica", messa in scena da partiti che dopo aver stazionato "innocentemente" tra gli scanni di Montecitorio salgono in cattedra per decidere la formazione di un nuovo governo, dopo aver fatto campagna elettorale discutendo di leggi fatte male o mai approvate e di riforme mancate come se la responsabilità fosse di altri.

D'altro canto, per il "watchdog journalism" all'italiana mettere nel mirino il Governo di turno è di norma una operazione facile e senza rischi. Tantopiù che sono spesso gli stessi partiti che hanno dato vita al Governo i primi a sparare a zero sull'attività di governo, non appena le circostanze (i sondaggi) lo richiedono. Per non citare i puntuali voltagabbana dei partiti che hanno dato vita ai cosiddetti governi tecnici, governi che prima sono chiamati a rimediare agli errori e alla inadeguatezza dei partiti e poi sono messi alla gogna dagli stessi partiti che li hanno voluti.

Il "watchdog journalism" all'italiana, prendendo di mira il governo di turno, invece di inchiodare i partiti, i parlamentari ed il Parlamento alle proprie responsabilità ne favorisce il processo autoassolutivo pre-elettorale.