Il Governo Letta

Periodo di riferimento: 2013 - 2014
Con la rielezione di Giorgio Napolitano a Presidente della Repubblica le forze politiche parlamentari avevano accettato, come unica soluzione possibile, il percorso iniziato dalla commissione dei 10 saggi di una trattativa tra centrosinistra e centrodestra per la formazione del nuovo governo. Il Presidente della Repubblica, che aveva contribuito al superamento delle reciproche diffidenze tra i due schieramenti, divenne il garante del nuovo Governo Letta definito, infatti, Governo del Presidente, ma anche Governo delle larghe intese poiché mirato a far convergere con la più ampia condivisione possibile forze politiche tradizionalmente contrapposte sull’obiettivo della ripresa economica, obiettivo collegato a doppio filo con le ormai improcrastinabili riforme strutturali tra cui quella delle istituzioni, fondamentale per evitare le sempre più probabili situazioni di stallo politico del Parlamento. Tuttavia, i contrasti interni al Partito Democratico non erano affatto sopiti e il Governo Letta, parzialmente paralizzato da questo conflitto in particolare per quanto riguarda le riforme, riuscì a malapena a sopravvivere al cambio di maggioranza parlamentare determinato dalle vicende processuali di Silvio Berlusconi attraverso la scissione del Popolo della Libertà. L’urgenza di proseguire sulla strada delle riforme, per le quali era necessaria un’ampia condivisione, determinò l’ascesa di Matteo Renzi a segretario del Partito Democratico e poco dopo la fine del Governo Letta.

Governo Letta

Il Governo Letta vide la luce il 27 Aprile 2013, quando il Presidente del Consiglio incaricato, Enrico Letta, sciolse la riserva e annunciò la lista dei ministri, dopo più di due mesi dalle elezioni per il rinnovo del Parlamento del 24 e 25 Febbraio e dopo una settimana dalla rielezione di Giorgio Napolitano a Presidente della Repubblica il 20 Aprile 2013.

L’antefatto

Con le elezioni politiche di Febbraio si era determinata in Parlamento una situazione di stallo che aveva indotto Giorgio Napolitano a nominare una commissione di “10 saggi” e ad anticipare la fine del suo mandato, in modo da far eleggere un nuovo Presidente della Repubblica con pieni poteri (Giorgio Napolitano si trovava nel cosiddetto semestre bianco). Al nuovo presidente sarebbe spettato il compito di sbloccare lo stallo: o attraverso lo scioglimento del Parlamento appena eletto e il ritorno alle urne, o riuscendo ad aggirare i veti incrociati che ostacolavano la formazione di una maggioranza parlamentare e di un governo.

Tuttavia, l'elezione del nuovo Presidente della Repubblica si rivelò più complicata del previsto, proprio perché intrecciata con la possibilità di formare un governo, e i partiti politici rappresentati in Parlamento, tra errori di valutazione e veti incrociati, non videro altra soluzione che proseguire sulla strada parzialmente tracciata dallo stesso Napolitano (attraverso la nomina dei 10 saggi) nella direzione di un Governo delle larghe intese (PD - PdL), chiedendo la disponibilità a Giorgio Napolitano per un secondo mandato, il quale seppur recalcitrante accettò.

La formazione della maggioranza parlamentare

Con la rielezione di Giorgio Napolitano a Presidente della Repubblica il percorso di formazione di una maggioranza parlamentare era in sostanza già definito e infatti, il 22 Aprile, due giorni dopo la sua rielezione il Presidente Napolitano avviò di nuovo le consultazioni (per la terza volta) con i presidenti di Camera e Senato e con le forze politiche. Il 24 Aprile, constatata la possibilità di formare una maggioranza parlamentare, affidò l'incarico per la formazione del nuovo governo a Enrico Letta, vicesegretario del Partito Democratico.

Il Governo Letta, pur mancando tra le forze politiche della maggioranza un progetto comune e la spontaneità dell'accordo, non avrebbe dovuto essere formalmente un governo tecnico (l'ipotesi sulla quale Berlusconi aveva messo il veto) ma un governo politico con responsabilità condivisa dai due partiti principali, Partito Democratico e Popolo della Libertà, e dallo stesso Presidente della Repubblica che era stato chiamato a fare da garante. Infatti, il governo Letta fu definito sia “governo delle larghe intese” che “governo del Presidente”.

Il governo Letta rimase in carica poco meno di un anno, dal 28 Aprile 2013, data del giuramento, al 22 febbraio 2014 quando fu sostituito dal Governo Renzi.

La vita politica del Governo Letta

Il governo Letta si caratterizzò per alcune innovazioni riguardo l'età dei ministri e il numero di donne, per i ministeri più importanti assegnati al PdL o a tecnici e per un'esistenza travagliata, sia a causa delle schermaglie quasi quotidiane tra i partiti della maggioranza, sia per la spada di Damocle costituita dai processi di Berlusconi il cui esito avrebbe potuto compromettere la tenuta della maggioranza.

Infatti, nel discorso programmatico alle camere per la richiesta del voto di fiducia, a parte le promesse, come da copione, di sviluppo, lavoro ai giovani e meno tasse, il Presidente del Consiglio, Enrico Letta, fu troppo generico e non avendo esplicitato con chiarezza i punti prioritari del suo governo si espose all'arbitrio del PdL intenzionato a fare quadrato attorno a Berlusconi e ai suoi problemi con la giustizia.

E in effetti, a parte una serie di pasticci e indecisioni - come il Consiglio dei Ministri del 29 Agosto 2013 sull'IMU, la questione dell'IVA del 28 Settembre 2013, il caso Cancellieri del 4 Novembre 2013, di nuovo l'IMU il 20 Dicembre 2013, il dietro-front sul decreto Salva-Roma del 24 Dicembre 2013, le polemiche causate dall'annuncio del 9 Gennaio 2014 secondo cui gli insegnanti avrebbero dovuto restituire 150 euro, il caso De Girolamo del 27 Gennaio 2014 - che pure contribuirono ad alienare dal Governo il consenso dei cittadini e dello stesso Presidente della Repubblica, la chiave di lettura dell'indirizzo politico dell'esecutivo Letta ruota attorno alle vicende giudiziarie di Berlusconi legate a doppio filo con i mai sopiti malumori all'interno del Partito Democratico.

Infatti, la vita politica del governo Letta è stata significativamente influenzata dai seguenti eventi:

  • la sentenza della Corte di Cassazione del 1º agosto 2013 sul processo Mediaset che sancì la condanna definitiva di Berlusconi;
  • i conflitti interni e la conseguente scissione del Popolo della Libertà che deliberò il suo scioglimento e la rifondazione di Forza Italia tra il 25 Ottobre e il 16 Novembre 2013;
  • la nascita del Nuovo Centrodestra guidato da Angelino Alfano il 15 Novembre 2013;
  • l'uscita dalla maggioranza e dal governo di Forza Italia che il 26 novembre 2013, in occasione della questione di fiducia posta dal Governo sul maxiemendamento che integrava le modifiche della commissione bilancio del Senato alla Legge di Stabilità 2014, annunciava la sua contrarietà e passava all'opposizione, mentre il Nuovo Centro-Destra restava nella maggioranza;
  • il congresso del Partito Democratico con le elezioni primarie del 8 Dicembre 2013 che decretarono la vittoria di Matteo Renzi e la sua nomina a segretario del PD.

Questi eventi innescarono una serie di azioni e reazioni all'interno del Partito Democratico che determinarono la caduta del governo Letta.

Infatti, i conflitti interni al Partito Democratico tra la componente più di sinistra, ex DS ed eredi del PCI, e la componente più centrista, ex Margherita ed eredi della sinistra DC, già esplose in occasione delle votazioni per l'elezione del Presidente della Repubblica, non erano affatto sopite, anzi erano più vive che mai. La base e gli attivisti del Partito Democratico, che con le elezioni primarie del 2012 e la vittoria di Bersani a leader della coalizione di centrosinistra avevano creduto alla possibilità di una vittoria certa, erano in tumulto poiché profondamente delusi dall'inversione di rotta che, dal mai con Berlusconi, aveva portato a un'alleanza di governo con il PdL. Infatti, per calmare gli animi, dopo le dimissioni di Bersani da segretario, il congresso del Partito Democratico era stato procrastinato e l'11 maggio 2013 era stato nominato Guglielmo Epifani “segretario di transizione”.

Tuttavia, quando la Corte di Cassazione condannò Berlusconi per il processo Mediaset, la spaccatura all'interno del PD raggiunse il suo apice.

Il governo Letta si trovò di fronte alla scelta di frenare sulla decadenza immediata di Berlusconi per consolidare le larghe intese e la pacificazione oppure di lasciare che Berlusconi fosse escluso dal Parlamento e, almeno temporaneamente, dalla vita politica. Era questo il contesto politico nel quale, la sera del 27 novembre 2013, il Senato approvò con voto palese (192 sì, 113 no e 2 astenuti) la decadenza da senatore di Silvio Berlusconi per effetto della "Legge Severino", come conseguenza della condanna definitiva del 1º agosto 2013 per frode fiscale e della sentenza del 19 ottobre 2013 della Corte d'Appello di Milano, alla quale la Corte di Cassazione aveva rinviato la decisione sulla rideterminazione della pena accessoria di interdizione dai pubblici uffici.

La scelta di Letta di marginalizzare Berlusconi mise a rischio la maggioranza che sosteneva il Governo, poiché Berlusconi nel tentativo di sfuggire all’interdizione dai pubblici uffici non esitò a scegliere la via delle elezioni cercando di far cadere il governo, forte dei sondaggi che lo davano vincente. Fu solo grazie alla scissione del PdL e alla nascita del Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano che il governo riuscì a sopravvivere con una maggioranza ridotta ai minimi termini.

In seguito a queste vicende la componente centrista del Partito Democratico iniziò a convergere sulle posizioni di Matteo Renzi, che già nelle primarie di coalizione aveva sfidato la leadership di Bersani. Questo consenso generalizzato consentì a Matteo Renzi di conquistare la segreteria e la leadership del Partito Democratico con le primarie dell'8 Dicembre 2013. Anche in Parlamento il consenso nei confronti del nuovo segretario PD andò via via crescendo, mentre al contempo aumentava la sfiducia nei confronti del governo Letta. Lo stesso Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, aveva cominciato ad esplorare altre ipotesi per assicurare al paese governabilità e soprattutto le necessarie riforme istituzionali.

Questo è il clima nel quale matura la decisione del 13 febbraio 2014, quando la Direzione Nazionale del Partito Democratico approvò (con 136 sì, 16 no e 2 astenuti) una mozione proposta dal segretario Matteo Renzi in cui si chiedevano le dimissioni di Letta e la formazione di un nuovo esecutivo guidato dallo stesso Renzi. Subito dopo, il Presidente del Consiglio Enrico Letta annunciò che il giorno successivo si sarebbe recato al Quirinale per rassegnare le dimissioni del suo governo.