Corruzione, clientelismo e voto di scambio dopo Tangentopoli

Periodo di riferimento: 1990 - 2013
Tangentopoli è un insieme di inchieste giudiziarie che a partire dal 1992 ha travolto il sistema politico italiano determinando l’arresto e la condanna di una parte della classe dirigente - politica e imprenditoriale - che fino ad allora aveva guidato il paese. Le inchieste di tangentopoli, soprannominate “Mani pulite”, hanno certificato il sistema di finanziamento privato e occulto dei partiti politici, basato su tangenti diffuse a tutti i livelli e di cui quasi tutti i politici erano a conoscenza. Questo contesto favoriva, ovviamente, anche la corruzione e il clientelismo a fini personali nonché la mancanza di trasparenza nelle decisioni politiche a discapito della collettività e dei cittadini.

Banconote

Corruzione, voto di scambio e clientelismo sono stati fenomeni piuttosto diffusi in Italia. Per rendersene conto basta leggere le statistiche giudiziarie o le notizie di inchieste e indagini sulla corruzione pubblicate quasi senza soluzione di continuità almeno fino all'inchiesta Mafia Capitale del 2014. Questi fenomeni di devianza sono diventati sempre più devastanti poiché la criminalità organizzata ha iniziato a sfruttarli per insinuarsi nella rete di relazioni politiche ed economiche della classe dirigente.

Clientelismo, voto di scambio e corruzione sono anche figli di una cultura della legalità carente o addirittura assente, considerato che in alcune zone del paese si è diffusa una sottocultura della illegalità e dell'impunità. L'assenza di una consolidata cultura della legalità favorisce la corruzione e altri fenomeni di devianza costituendo un terreno fertile per la criminalità organizzata.

Gli episodi di corruzione in Italia, considerando l'elevato grado di diffusione e il coinvolgimento di importanti ruoli istituzionali, hanno rappresentato la spia di una degenerazione del tessuto politico e amministrativo del paese. Sono stati, infatti, frequenti gli appelli delle più alte cariche dello Stato affinché le istituzioni e le forze politiche fossero più attive e determinate al fine di “estirpare il cancro della corruzione”.

E anche la maggioranza degli italiani ha chiesto alla politica e alle istituzioni un maggiore impegno nella lotta alla corruzione e alla illegalità, come nella tangentopoli dei primi anni '90 quando un movimento popolare trasversale ai partiti rivendicò con forza questa esigenza.

Nei primi anni '90, il movimento popolare che chiedeva di fermare la corruzione dilagante, una maggiore trasparenza delle istituzioni e più giustizia sociale si manifestò anche con episodi al limite del linciaggio, come il lancio delle monetine su Craxi.

Questo movimento, sull’onda dell’emotività suscitata dalle inchieste di tangentopoli, produsse anche dei risultati tangibili come l’approvazione in Parlamento, nel mese di Ottobre 1993, della riforma dell’immunità parlamentare prevista dall’art. 68 della Costituzione - che nella nuova formulazione concedeva ai magistrati la possibilità di indagare un parlamentare senza prima dover chiedere l’autorizzazione alla Camera di competenza – e la schiacciante vittoria dei Si nei referendum del 1991 e del 1993 per l’abrogazione delle preferenze della legge elettorale e del finanziamento pubblico ai partiti. Per inciso, il sistema delle preferenze e le leggi sul finanziamento pubblico ai partiti erano allora considerati dall’opinione pubblica i principali responsabili del voto di scambio e della mancanza di trasparenza della politica.

Tuttavia sul piano pratico e negli anni seguenti le inchieste di Tangentopoli, le istanze popolari di rinnovamento politico e morale furono disattese e i fenomeni della corruzione, del voto di scambio e del clientelismo ripresero a manifestarsi con vigore e in piena tradizione gattopardesca.

Probabilmente, nella seconda metà degli anni '90 la maggioranza della società e della classe dirigente italiana non era ancora pronta ad affrontare un cambiamento così radicale dei costumi, visto che nei quaranta anni precedenti, il clientelismo, il voto di scambio e la corruzione finalizzata al finanziamento occulto dei partiti erano state pratiche abituali. In sostanza, sia la società civile che la classe dirigente, al di là delle dichiarazioni di principio, non furono capaci di elaborare modelli di comportamento diversi da quelli abituali nelle relazioni politiche con l'elettorato, con le imprese e con le lobby economiche.

Inoltre, nella prima metà degli anni '90, l'indignazione popolare e le rivendicazioni della società civile conseguenti all'esplosione di tangentopoli si erano intrecciate con il mutamento dello scenario politico conseguente il crollo del muro di Berlino e alla formazione dell'Unione Europea.

Per quanto riguarda il primo aspetto, con la fine della guerra fredda, dopo decenni di sostanziale immobilismo, il quadro politico italiano divenne confuso e mutevole determinando una generale sensazione di smarrimento nei partiti e nelle istituzioni.

La crisi di valori conseguente al crollo delle vecchie ideologie di destra e di sinistra determinò una caduta delle motivazioni ideologiche che assicuravano la fedeltà dei politici ai rispettivi partiti mentre la diffusione di una mentalità più individualista ed egoista favorì il moltiplicarsi degli episodi di trasformismo ed, essendo gli strumenti utilizzati per la lotta politica non sempre leciti e corretti, anche di corruzione. Anche i mass media contribuirono a esacerbare gli animi favorendo una deriva giustizialista, poiché misero sullo stesso piano le tangenti pagate per il finanziamento illecito dei partiti con gli episodi di arricchimento personale illecito.

Gran parte della società italiana era inoltre condizionata da un rapporto ambiguo con la politica. Il rapporto tra cittadini e classe dirigente era ancora intriso di quella sorta di paternalismo che aveva caratterizzato la stagione politica della Democrazia Cristiana e del Partito Comunista. In pratica, la maggior parte degli italiani era ancora disposta a chiudere gli occhi di fronte agli scandali, agli sprechi e ai privilegi della classe dirigente, perché convinta che gran parte delle risorse pubbliche saccheggiate dalla politica sarebbero comunque poi state condivise e rimesse in circolo dalle fazioni conniventi.

Per quanto riguarda il secondo aspetto, l'adesione dell'Italia al Trattato di Maastricht determinò delle conseguenze sociali ed economiche che colsero impreparate sia la classe dirigente che la società italiana. Il Trattato dell'Unione Europea, firmato il 7 febbraio 1992 assieme agli altri undici paesi membri dell'allora Comunità Europea e che fissava le regole politiche e i parametri economici che i vari Stati avrebbero dovuto rispettare una volta entrati nell'Unione, entrò in vigore il 1º novembre 1993. Tuttavia le prime conseguenze dell'adesione italiana all'Unione Europea si manifestarono ancor prima della firma del trattato, sia sul piano politico quando si dovette ricorrere ad un governo tecnico per attuare le riforme necessarie per poter far parte del primo gruppo di paesi dell'Unione, sia sul piano sociale quando la popolazione italiana fu chiamata a sopportare pesanti sacrifici economici.

Ma le vere conseguenze dell'adesione al Trattato di Maastricht furono largamente sottovalutate. L'ingresso nell'Unione Europea costituiva un punto di partenza e non un punto di arrivo, come invece fu percepito dagli italiani che, una volta raggiunto l'obiettivo dell'adesione all'Unione, erano convinti che la stagione delle ristrettezze economiche fosse finita e probabilmente si aspettavano dai governi successivi un allentamento dei cordoni della spesa pubblica.

In sostanza, sfuggiva agli italiani il nesso tra le politiche di bilancio restrittive imposte dal Trattato di Maastricht e lo spreco di risorse pubbliche generato dalla corruzione, dal voto di scambio e dal clientelismo. In fondo gli italiani erano ancora convinti che le risorse pubbliche fossero pressoché inesauribili, poichè fino ai primi anni '90 questa falsa percezione era stata alimentata con una crescita incontrollata del debito pubblico e con politiche monetarie di svalutazione della lira.

Ma la lotta agli sprechi di risorse pubbliche, ovvero alla corruzione, al voto di scambio e ai clientelismi non fu percepita come una priorità nemmeno dalla classe dirigente. In fondo, neanche la classe dirigente aveva metabolizzato che con l'adesione all'Unione Europea l'epoca delle vacche grasse era finita, poichè non sarebbe più stato possibile svalutare la moneta e far crescere in modo incontrollato il debito pubblico.

In sintesi, nonostante le inchieste di tangentopoli avessero evidenziato che l'Italia aveva un problema molto serio di corruzione, voto di scambio, clientelismo e conseguente dispersione di risorse pubbliche, incompatibile con le politiche di bilancio restrittive imposte dall'Unione Europea, negli anni a seguire la classe dirigente non si preoccupò affatto né di come venivano utilizzate le risorse pubbliche per evitare gli sprechi e le ruberie, né di combattere la corruzione, il voto di scambio e i clientelismi. Anzi, la classe dirigente approfittò del diffuso malcostume per continuare a "comprare" il consenso politico e lucrare privilegi o arricchimenti personali con rinnovata rapacità, mentre la maggioranza degli italiani era ammaliata dal cosiddetto sogno berlusconiano, ben disposta a chiudere gli occhi di fronte agli scandali e leggi ad personam.

Dopo la fine della cosiddetta Seconda Repubblica (2011 - 2013) e alla luce di quanto accaduto dopo le inchieste di tangentopoli, le aspettative popolari di legalità, giustizia e lotta alla corruzione sono state nuovamente tradite dalla classe dirigente oppure la politica è riuscita, finalmente, a contrastare la corruzione e l'illegalità?

Rispetto agli anni '90 e al controverso assetto politico e sociale che ha caratterizzato la cosiddetta Seconda Repubblica le condizioni economiche, politiche e sociali del paese sono cambiate e la società civile e la politica hanno acquisito una maggiore consapevolezza e una più ferma volontà di cambiamento. Il popolo italiano è sembrato essere più consapevole dei danni sociali ed economici generati dalla corruzione, dal voto di scambio e dal clientelismo, mentre nei primi anni '90 l'esigenza di rinnovamento morale che pervase la società italiana era stata una diretta conseguenza delle inchieste giudiziarie, più che una reale presa di coscienza sociale.

Anche per la classe dirigente del paese la percezione dell’importanza del rispetto della legalità è molto cambiata, diversamente da quanto accadeva nella seconda repubblica dove i numerosi conflitti con la magistratura, le leggi ad personam e le dichiarazioni propagandistiche generavano un senso di impunità e di sfiducia nelle istituzioni.

I partiti sono diventati consapevoli (almeno a livello nazionale anche se permangono situazioni opache a livello locale) dei danni generati dalle modalità di relazione con l’elettorato basate sul voto di scambio, sul clientelismo e sul finanziamento illecito.

I cittadini sono diventati consapevoli che l’Italia non può permettersi di disperdere risorse pubbliche a causa di un sistema di relazioni opache tra politica ed economia, un sistema che oltre a erodere la credibilità della classe dirigente è stato troppo spesso utilizzato da personaggi senza scrupoli, ma anche dalla criminalità organizzata, per lucrare affari milionari alle spalle delle istituzioni e di ignari cittadini. Infatti, parte del voto di protesta che determinò la rapida ascesa del Movimento 5 Stelle è da imputare a questo cambiamento di mentalità.

La maggioranza della società italiana è oggi consapevole che la corruzione, il voto di scambio, il clientelismo e la mancanza di una consolidata cultura della legalità comportano un costo che viene pagato dalla collettività, creano ingiustizie sociali e danneggiano la crescita economica.