Sistema elettorale e instabilità dei governi nella politica italiana

I cambiamenti di sistema elettorale per l’assegnazione dei seggi possono favorire l’aggregazione tra partiti politici, ma non risolvono automaticamente il problema dell’instabilità dei governi.

Organo collegiale - simbolo

I sistemi elettorali misti finora adottati dalle leggi elettorali per il rinnovo del Parlamento, nel contesto della forma di governo parlamentare italiana e di un sistema politico frammentato, non sono riusciti a risolvere il problema della instabilità dei governi che ha caratterizzato la storia istituzionale italiana dal II dopoguerra ad oggi.

Inoltre, a partire dal 1993 le incongruenze generate dai vari sistemi elettorali implementati dalla legge elettorale per le elezioni politiche hanno avuto ripercussioni negative sul funzionamento del Parlamento e del Governo, sulle dinamiche dello scontro politico tra partiti e finanche sulle dinamiche interne delle coalizioni e dei partiti politici maggiori.

Negli anni precedenti il 1993, invece, l’effetto combinato del sistema elettorale proporzionale e del processo di formazione delle maggioranze parlamentari aveva generato il cosiddetto consociativismo, additato come una delle cause principali della spartizione di potere e dello spreco di risorse pubbliche.

Tuttavia, le inadeguatezze dei sistemi elettorali adottati per il rinnovo del parlamento non dovrebbero essere additate come l’unica causa dell’instabilità dei governi, infatti anche altre disfunzioni, ad esempio nei regolamenti che disciplinano i gruppi parlamentari, nelle modalità di finanziamento dei partiti politici, nella organizzazione dei partiti spesso carenti di democrazia interna, hanno contribuito a generare quella condizione di instabilità del potere esecutivo che condiziona la vita politica italiana sin dalla nascita della Repubblica.

Di fatto, l’instabilità cronica dei governi oltre a intralciare le attività proprie del potere esecutivo, come applicare le leggi e rendere efficiente la pubblica amministrazione, ha subdolamente modificato alcuni comportamenti dei parlamentari e dei partiti politici italiani rischiando di danneggiare il processo decisionale democratico e l’equilibrio tra poteri istituzionali, ad esempio con riforme istituzionali avventate.

In primis, nel sistema politico-mediatico italiano è emersa la tendenza a deresponsabilizzare i partiti politici nei confronti dell'azione di governo, addossando le responsabilità degli eventuali fallimenti delle decisioni politiche esclusivamente ai governi.

Più specificatamente, è accaduto troppo spesso che alcuni partiti politici della maggioranza abbiano adottato un atteggiamento ambiguo nei confronti del Governo, arrivando perfino a disconoscerlo pubblicamente quando si è trattato di un governo tecnico, mentre i partiti all’opposizione contribuivano a questa deresponsabilizzazione preferendo contrastare il Governo piuttosto che la maggioranza parlamentare che lo sosteneva, esentandosi così dalla responsabilità di non essere stati capaci di costruire una maggioranza alternativa.

Tra gli effetti collaterali di questo atteggiamento di deresponsabilizzazione dei partiti politici si è spesso insinuata anche la delegittimazione, più o meno consapevole, del Governo, sottovalutando la sua connotazione di istituzione a cui la Costituzione affida il potere esecutivo e sopravvalutando la sua connotazione di organo collegiale politico non eletto.

E' inoltre probabile che l’instabilità politica abbia spinto i partiti a preoccuparsi troppo della ricerca del consenso e della permanenza tra gli scanni di Montecitorio e palazzo Madama, piuttosto che del futuro del paese.

Paradossalmente, l’instabilità cronica dei governi, con i Presidenti del Consiglio che vanno e vengono mentre i gruppi parlamentari restano, ha reso “conveniente” per i partiti politici della maggioranza parlamentare fare in modo che tutti i riflettori siano puntati sull’esecutivo, in particolare quando nel paese cresce l’insoddisfazione, in modo da poterlo scaricare o sacrificare al momento opportuno senza condividerne le sorti.

Infatti, il Governo è stato spesso usato dagli stessi partiti politici come capro espiatorio da dare in pasto all’opinione pubblica, mentre si ingenerava nei cittadini l’illusione che attraverso le elezioni per il rinnovo del Parlamento fossero gli elettori a scegliere il governo piuttosto che i partiti politici.

Invece, la responsabilità politica dell’azione di governo non ricade esclusivamente sul Governo, ma soprattutto sulla maggioranza parlamentare che lo sostiene. E' l’accordo politico tra i partiti della maggioranza a determinare l’indirizzo politico che il Governo, formato su indicazione dei partiti della maggioranza, dovrà attuare dopo l’ulteriore passaggio del voto di fiducia, che sancisce in modo inequivocabile il rapporto che intercorre tra maggioranza parlamentare e Governo.

L’instabilità dei governi si riflette negativamente anche sul funzionamento del Parlamento che nella forma di governo parlamentare ha un doppio ruolo:

  1. quello di organo collegiale che attraverso la formazione della maggioranza deve esprimere l'indirizzo politico e il Governo;
  2. quello di organo collegiale che in qualità di titolare della funzione legislativa deve produrre leggi efficaci in modo efficiente.

Ebbene, in un sistema politico di maggioranze stabili le due prerogative evidenziate hanno tempi diversi: subito dopo le elezioni politiche la dialettica tra partiti sarebbe orientata alla organizzazione della maggioranza di governo e della opposizione, mentre durante il corso della legislatura prevarrebbe la dialettica tra parlamentari orientata alla produzione di leggi. Infatti, la Costituzione per evitare l'invadenza dei partiti nel processo di elaborazione delle leggi rompe il vincolo che lega i parlamentari ai partiti, vietando il vincolo di mandato affinché i parlamentari possano votare secondo coscienza l'approvazione delle leggi.

Ma cosa succede in Parlamento quando le maggioranze sono instabili e soggette a uno scontro politico continuo tra partiti che tentano di affossare il governo di turno a ogni occasione? Succede che l'attività legislativa diventa strumentale alla lotta politica tra partiti e il Parlamento non è più nelle condizioni di produrre leggi organiche e coerenti.

Mentre crescono i compiti affidati allo Stato e i cittadini si aspettano istituzioni pubbliche sempre più efficaci ed efficienti, mentre cresce il numero e il potere delle istituzioni tecnocratiche sovranazionali che incidono sulle scelte politiche degli organi di governo nazionali, mentre aumentano i problemi di gestione dovuti all’integrazione economica e alla globalizzazione con tutte le conseguenze sulla sicurezza e l’immigrazione, il rischio che nel sistema parlamentare italiano la lotta politica tra partiti produca un Parlamento inconcludente e Governi azzoppati è sempre alto. La soluzione del problema dell’instabilità dei governi italiani è quindi più che mai necessaria.

Come già accennato, alcuni sistemi elettorali possano favorire l’aggregazione delle forze politiche elette in Parlamento e contribuire a rendere più stabili i governi, ma i cambiamenti del sistema elettorale non sono sufficienti.

I sistemi elettorali finora adottati in Italia, dal proporzionale puro ai sistemi misti che includono una quota maggioritaria, hanno avuto tutti delle pesanti controindicazioni, essendo frutto di compromessi spesso anche mal riusciti, e non hanno risolto il problema della stabilità dei governi in modo automatico.

L’elaborazione di una legge elettorale per il rinnovo del Parlamento che sia in grado di conciliare governabilità e rappresentatività nel contesto della forma di governo parlamentare italiana resta ancora una questione aperta. Infatti, si torna a discutere ciclicamente di sistemi elettorali maggioritari, proporzionali o misti, con soglie di sbarramento o ballottaggi.

Da un lato, i tentativi finora effettuati dal Parlamento sono stati fallimentari perché i partiti politici nel lanciarsi reciprocamente l’accusa di voler tirare acqua al proprio mulino non sono mai riusciti a mettersi d’accordo su una proposta di legge elettorale organica, coerente e ampiamente condivisa, dall’altro sono mancati gli altri correttivi necessari a normalizzare le dinamiche dello scontro politico tra partiti o addirittura interno ai partiti.

Ad esempio, sarebbe opportuno evitare che i conflitti tra partiti o nei partiti della maggioranza parlamentare coinvolgano il Governo ancor prima di essere discussi all’interno della maggioranza stessa. E invece questa dinamica si è addirittura accentuata, ad esempio con il Governo Conte I dove le dinamiche politiche interne alla maggioranza sono state traslate direttamente nella compagine governativa sollevando non pochi dubbi sulla coerenza costituzionale del ruolo del Presidente del Consiglio.

Poiché esistono democrazie parlamentari che non soffrono l’instabilità del potere esecutivo pur adottando sistemi elettorali simili a quelli da noi sperimentati, occorre evidentemente introdurre altri correttivi per incanalare il sistema politico italiano nella giusta direzione, piuttosto che puntare tutto sul cambiamento del sistema elettorale arrivando addirittura a proporre tra le possibili soluzioni per il rinnovo del Parlamento un sistema elettorale a doppio turno con ballottaggio, come ad esempio il cosiddetto “Italicum” poi giudicato incostituzionale dalla Consulta.

Questo sistema elettorale è più adatto all’elezione di organi monocratici o al limite di organi collegiali che comportano anche l’elezione diretta di una figura istituzionale monocratica, come ad esempio i sindaci o i presidenti di regione. Il doppio turno con ballottaggio non sembra adatto al rinnovo di organi collegiali rappresentativi che devono esprimere un esecutivo attraverso il voto di fiducia, come il Parlamento.