La crisi della maggioranza parlamentare M5S - Lega

Periodo di riferimento: 2019
Le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo (maggio 2019) avevano acuito la spaccatura nella maggioranza tra Lega e Movimento 5 Stelle, ma un segnale ancora più forte del divario crescente tra le due forze politiche di governo fu l’elezione da parte del Parlamento europeo di Ursula von der Leyen a Presidente della Commissione europea (luglio 2019). Infatti, i parlamentari del Movimento 5 Stelle votarono a favore della candidata europeista del Partito Popolare Europeo, in contrasto con gli europarlamentari della Lega, risultando tra l’altro decisivi per la sua elezione. Il Movimento 5 Stelle, che fino ad allora era stato piuttosto ambiguo nei confronti dell’Unione Europea, aveva rotto gli indugi e scelto di collocarsi tra le forze politiche europeiste. Evidentemente la Lega di Salvini, o quantomeno quella parte della Lega convintamente sovranista, aveva altri piani riguardo i rapporti tra governo italiano e Unione Europea, tant’è vero che poco dopo determinò la crisi del governo Conte (agosto 2019). Tuttavia, per la tempistica e il modo con cui fu aperta la crisi di governo, l’operazione politica della Lega apparve piuttosto ambigua e apparentemente incomprensibile.

Cronaca politica

La crisi del governo Conte si concretizzò in Agosto, poco prima che si aprisse la discussione sulla legge di bilancio 2020. Il mese di agosto è un periodo piuttosto insolito per aprire una crisi di governo, un periodo in cui le redazioni politiche dei mass media sonnecchiano per riprendere fiato e prepararsi all'intensa discussione sulle misure incluse o da includere nella legge di bilancio.

Infatti, il percorso per la redazione della legge di bilancio inizia il 27 settembre con la trasmissione al Parlamento della Nota di aggiornamento al Def (Nadef) che adegua le previsioni economiche e finanziarie ai dati più recenti. Entro il 20 ottobre il Governo deve presentare il disegno di legge di bilancio. La legge di bilancio deve essere approvata dal Parlamento entro il 31 dicembre, pena l’esercizio provvisorio. Infine, entro la fine di gennaio il governo deve presentare gli eventuali disegni di legge collegati alla manovra. Tutti, i suddetti documenti devono essere trasmessi in anticipo alla Commissione Europea che deve esprimere il suo parere rispetto agli impegni di stabilità finanziaria assunti dall'Italia nei confronti degli altri paesi aderenti all'UE.

La tempistica della crisi di governo evidenziava un collegamento con la discussione parlamentare della legge di bilancio che avrebbe comportato un’interlocuzione con la Commissione Europea guidata da Ursula von der Leyen che, tra l’altro, era stata eletta proprio grazie ai voti degli europarlamentari del Movimento 5 Stelle.

Formalmente, la crisi della maggioranza si verificò in Senato dopo il voto contrario del Movimento 5 Stelle sulla TAV - più precisamente il voto riguardava la prosecuzione della tratta Torino-Lione - nonostante il Presidente del Consiglio Conte avesse già dichiarato che il progetto sarebbe stato comunque portato a compimento.

In effetti, il Movimento 5 Stelle conosceva bene la posizione della Lega favorevole alla prosecuzione della tratta Torino-Lione della Tav ed era pienamente consapevole che il suo voto parlamentare, contrario a quello della Lega e delle altre forze politiche che erano maggioritarie, non avrebbe influito sulla effettiva prosecuzione del progetto.

La calendarizzazione del voto sulla TAV in Senato da parte del Movimento 5 Stelle era, probabilmente, un espediente per calmare la sua base elettorale, da sempre vicina ai noTav, che era stata delusa dall’ennesimo dietrofront su una questione di fondamentale importanza per il movimento. Infatti, la scelta del mese di agosto per il voto sulla TAV sarebbe stata coerente con una strategia comunicativa dei vertici del M5S mirata a stemperare nei confronti dell’opinione pubblica questa ennesima contraddizione, evidentemente nella certezza che l’alleato di governo, la Lega, avrebbe acconsentito a questa operazione senza creare troppi problemi. Invece, contrariamente alle apettative, la Lega reagì a questa votazione agostana in Senato con dichiarazioni durissime.

Le reazioni scomposte e sorprese dei vertici del Movimento 5 Stelle alle dichiarazioni di Matteo Salvini confermarono che il M5S non si aspettava questo comportamento da parte della Lega, la quale dopo aver chiesto le dimissioni di Giuseppe Conte, e non averle ottenute, propose la calendarizzazione in Parlamento di una mozione di sfiducia nei confronti del presidente del Consiglio, decretando così la fine imminente del governo Conte.

Sebbene la crisi politica della maggioranza gialloverde fosse ormai conclamata e irreversibile la crisi formale del governo Conte non era ancora stata dichiarata: mancavano alcuni passaggi fondamentali in grado di incidere sulla prosecuzione della legislatura ed eventualmente sulle sue modalità di prosecuzione. Infatti, avendo l'Italia adottato una forma di governo parlamentare, la crisi di un governo non determina necessariamente la fine della legislatura, cioè il rinnovo del Parlamento con le elezioni politiche.

Spetta al Presidente della Repubblica fare le opportune valutazioni, dopo aver sentito le rappresentanze parlamentari, per decidere se sciogliere il Parlamento oppure affidare ad altri l'incarico di formare un nuovo governo.

Nel sistema parlamentare italiano i governi non sono eletti ma sono nominati dal Presidente della Repubblica. Un cambio di governo non comporta alcun indebolimento della rappresentanza democratica che a livello nazionale si sostanzia esclusivamente nell’elezione dei parlamentari. La pretesa “populista” di volere un governo eletto dal popolo, troppo spesso corroborata anche dalla superficialità del sistema mediatico, non trova riscontro nella nostra Costituzione che è stata concepita con una serie di pesi e contrappesi che garantiscono l’equilibrio tra poteri. Forzare mediaticamente e politicamente i rapporti tra Governo e Parlamento in nome di una presunta rappresentanza democratica del potere esecutivo (il governo) in assenza di un cambiamento della Costituzione, cioè in assenza di garanzie costituzionali, è evidentemente un’operazione pericolosa per la democrazia stessa.

Questa premessa, oltre a evidenziare che il populismo dei due partiti di governo era in realtà presente in tutta la politica italiana da almeno un decennio, aiuta a comprendere il dibattito politico-mediatico che si sviluppò subito dopo la crisi della maggioranza tra M5S e Lega senza nemmeno attendere la crisi formale del Governo e le dichiarazioni del Presidente della Repubblica, tant’è vero che il Presidente della Camera, Roberto Fico, fu costretto a ricordare ai mass media e ad alcuni partiti politici che “Il Presidente della Repubblica è il solo che può sciogliere le camere e convocare le elezioni anticipate, nessun altro”.

In estrema sintesi, il dibattito politico riguardò l'alternativa tra la fine immediata della legislatura, e quindi le elezioni politiche in autunno, o la prosecuzione della legislatura con un nuovo Governo che avrebbe dovuto essere politico, non tecnico, e sostenuto da una diversa maggioranza necessariamente composta da Movimento 5 Stelle, Partito Democratico e altre forze politiche minori.

Un eventuale governo tecnico o istituzionale o comunque non politico venne considerato da tutti, anche dagli oppositori del populismo, come un eresia, come un assist per la campagna elettorale di Salvini e della Lega, paradossalmente avallando quel racconto politico mediatico fortemente populista che aveva demonizzato i governi tecnici ed esaltato il fantomatico governo eletto dal popolo.

Per alcuni commentatori la strategia politica del leader della Lega, Matteo Salvini, sarebbe stata proprio mirata alla formazione di un governo tecnico dal quale, ovviamente, si sarebbe chiamato fuori al fine di costruire successivamente la sua campagna elettorale, piuttosto che a nuove elezioni politiche in autunno, rese altamente improbabili dalla situazione economica, politica e istituzionale in cui si trovava l'Italia a causa delle scadenze connesse all'iter di approvazione della legge di bilancio, delle interazioni con l'Unione Europea e i mercati finanziari, dell'ormai abituale rischio di una situazione di stallo in Parlamento subito dopo le elezioni politiche.

In effetti, autorevoli commentatori avevano evidenziato come il contrasto nella maggioranza tra Lega e Movimento 5 Stelle sulla questione TAV sia stato solo uno dei tanti pretesti possibili a cui la Lega poteva appigliarsi per far cadere il governo, e forse nemmeno il più consistente visto che sulla TAV era già passata la linea della Lega. In altre parole, se la Lega avesse voluto effettivamente incassare a livello nazionale il successo elettorale delle elezioni europee avrebbe potuto determinare la crisi di governo in altre occasioni, prima del mese di Agosto, in un periodo più favorevole e con maggiori probabilità di determinare anche la fine anticipata della legislatura e il rinnovo del Parlamento.

Il dibattito politico si arricchì quindi delle possibili reali motivazioni che avevano spinto Salvini a far cadere il governo proprio nel mese di Agosto. Tra le motivazioni addotte dai commentatori c'erano anche le difficoltà che la Lega avrebbe incontrato durante l'elaborazione e l'approvazione della legge di bilancio.

In sintesi, l'atteggiamento della Lega nei confronti dell'Unione Europea e le promesse elettorali di Salvini sarebbero state difficilmente conciliabili con la manovra economica che il ministro Tria, il presidente del consiglio Conte e il Movimento 5 Stelle erano ormai disposti a elaborare in collaborazione con le istituzione europee, anche a causa dei fallimenti della manovra economica dell'anno precedente e della necessità di sterilizzare le clausole sull'aumento dell'IVA (poiché un aumento dell'IVA avrebbe avuto effetti recessivi su un'economia nuovamente in stagnazione).

Insomma, considerando la tempistica della crisi di Governo, è più probabile che sia stata la difficile situazione economico-finanziaria del paese in connessione con i vincoli della imminente legge di bilancio a indurre Matteo Salvini, leader della Lega, a staccare la spina al Governo. In altri termini, la prosecuzione dell'attività di governo avrebbe costretto la Lega a rinunciare ad alcune promesse elettorali, a tradire la sua narrazione di lotta senza quartiere all'Unione Europea, a cedere terreno nei confronti del Movimento 5 Stelle al fine di riuscire a varare una legge di bilancio.

D'altra parte, le scadenze connesse alla legge di bilancio e la difficile situazione economico-finanziaria furono anche le ragioni per cui il Presidente della Repubblica non era favorevole a interrompere la legislatura per rinnovare il Parlamento in autunno. Considerando anche i rischi di uno stallo del Parlamento subito dopo le elezioni, come accaduto sia nel 2013 che nel 2018, la posta in gioco andava ben oltre le aspettative dei partiti politici e di coloro che avebbero voluto vedere la Lega di Salvini varare una legge di bilancio non concordata con la Commissione europea o confrontarsi una volta per tutte con i problemi economico-finanziari del paese.

Riferimenti