Le politiche sull'immigrazione confuse con gli aiuti umanitari

Probabilmente a causa dell’intreccio tra il sensazionalismo dei mass-media e la ricerca esasperata del consenso politico, i problemi generati dall’immigrazione di massa sono stati spesso usati per alimentare il conflitto politico interno contrapponendo le esigenze e le finalità delle associazioni che gesticono gli aiuti umanitari alle esigenze e alle finalità delle politiche interne sull’immigrazione. Ad esempio, nei dibattiti pubblici televisivi si è visto troppo spesso chiedere commenti riguardo le politiche italiane sull’immigrazione a volontari impegnati nel campo degli aiuti umanitari invece che, ad esempio, a insegnanti coinvolti nei problemi d’integrazione dei migranti nella scuola.

Naufragio - simbolo

La commistione tra le politiche sull’immigrazione e le politiche sugli aiuti umanitari non aiuta a risolvere i problemi generati dai flussi migratori di massa, danneggia gli immigrati regolari, non è utile alle persone in cerca di aiuto, confonde i cittadini italiani, isola l’Italia dal resto dei paesi europei, presta il fianco alla propaganda di ideologie xenofobe e reminiscenze politiche di estrema destra.

Eppure la confusione tra le politiche sull'immigrazione e le politiche sugli aiuti umanitari viene costantemente alimentata dai politici e dai media, nonostante la differenza tra le due politiche sia sostanziale.

Le politiche sull'immigrazione sono determinate da fattori endogeni, cioè dipendono in larga misura dalla situazione sociale ed economica del paese che riceve gli immigrati. La capacità di una qualsiasi comunità di integrare gli immigrati incontra sempre un limite, superato il quale scattano delle "contromisure" sociali e psicologiche che non solo impediscono qualsiasi ulteriore integrazione ma fanno regredire anche le situazioni di parziale integrazione.

La convivenza sociale non può essere forzata dall'alto senza creare scompensi nella popolazione, la quale può sentirsi "costretta" a convivere con situazioni di degrado, di illegalità, di abitudini e usanze diverse che invece di essere considerate un arricchimento culturale sono considerate un attacco alla identità della propria comunità. Tanto più è debole il senso di appartenenza alla comunità, tanto più la comunità si sente fragile e messa spalle al muro come spesso accade nelle periferie delle grandi città. Tanto più e forte la disgregazione sociale e il disagio economico tanto più la comunità diventa ostile ai processi di integrazione.

Lo stato psicologico di una comunità nei confronti degli immigrati non può essere modificato per legge.

Lo Stato, i principi costituzionali, la cultura possono agire gradualmente con interventi di coesione sociale, istruzione e miglioramento delle condizioni economiche, ma ci vuole tempo, molto tempo. Invece i flussi migratori di massa non possono attendere e la realtà mostra impietosa situazioni di degrado, di scarsa legalità, di accampamenti di fortuna e strutture di accoglienza in difficoltà, di politiche di integrazione non gestite o gestite con metodi approssimativi che non rassicurano affatto i cittadini sul loro buon esito.

Le politiche sugli aiuti umanitari sono invece esogene, sono cioè determinate in larga parte da fattori esterni al paese. Sembra una considerazione banale ma il corollario è che un paese per quanto ricco, per quanto efficiente e disponibile, per quanto fedele ai buoni principi potrebbe nei fatti riuscire a fare molto poco con interventi isolati, che rischiano di essere come gocce nel mare. Dipende dalla dimensione, dalle caratteristiche e dalla lontananza delle catastrofi umanitarie, ma generalmente le politiche sugli aiuti umanitari sono gestite assieme ad altri paesi per essere efficaci. Sono le organizzazioni internazionali, umanitarie e non, che decidono dove, come e quando intervenire. E qui si apre un altro problema: le priorità di uno Stato possono essere divergenti rispetto a quelli di altri paesi che hanno altri interessi nel destinare risorse agli aiuti umanitari.

Insomma, nonostante queste differenze di gestione e di finalità suggeriscano di affrontare il problema delle migrazioni di massa tenendo ben separate le politiche sull'immigrazione dalle politiche sugli aiuti umanitari, sia la politica che i media non fanno distinzione e alimentano paure, angosce, sensi di colpa e reazioni irrazionali o spropositate.

Un esempio su tutti di integrazione fallita è la storia degli ebrei in Palestina, che è anche emblematico della confusione che attanaglia gli italiani sulle politiche da perseguire con l'immigrazione e quelle da perseguire con gli aiuti umanitari.

In estrema sintesi, il movimento sionista determinò un flusso migratorio di ebrei in Palestina, un flusso iniziato nei primi del '900 per motivi religiosi e che ricevette un forte impulso con l'olocausto (la Shoah). La storia degli ebrei in Palestina ha dato origine a molta letteratura e senza voler prendere le parti dell'una o dell'altra popolazione, ovvero entrare nel merito delle motivazioni o delle giustificazioni, la sostanza è che gli immigrati hanno poi fondato un loro Stato in un territorio dove viveva una popolazione araba da oltre 13 secoli, hanno tutti patito forti conflitti e rivolte soffocate nel sangue, si sono generate parecchie guerre mentre tutti conosciamo la situazione attuale, i loro muri.

Paradossalmente, nelle giornate della memoria dell'olocausto, i problemi dell'immigrazione italiana contemporanea sono stati accostati al genocidio degli ebrei e non al movimento migratorio dei sionisti. Un accostamento che anche volendo prenderlo come una critica agli atteggiamenti xenofobi di una parte degli italiani testimonia l'elevato grado di confusione tra aiuti umanitari e politiche d'immigrazione, tra un genocidio (da condannare sempre e comunque) e un flusso migratorio di massa.

Naturalmente, i flussi migratori di massa sono spesso originati da catastrofi umanitarie o succede che si trasformano in catastrofi umanitarie, poiché i grandi flussi migratori non sono facilmente controllabili e come insegna la storia possono diventare essi stessi causa di conflitti e guerre.

Infatti, le problematiche generate da un grande flusso migratorio non possono essere risolte con le politiche migratorie di un singolo paese e forse nemmeno di un intero continente qualora fosse possibile. Sono fenomeni che generalmente hanno qualche possibilità di essere gestiti con successo da interventi umanitari su larga scala finanziati da più paesi e coordinati dalle organizzazioni internazionali, per cui isolate politiche di aiuti o singolari politiche sull'immigrazione sono sostanzialmente inefficaci.

Le politiche sull'immigrazione di un paese devono rispondere alle esigenze manifestate dalla situazione sociale ed economica interna, non possono rispondere alle necessità delle istituzioni o delle organizzazioni che si occupano di aiuti umanitari. Eppure i media frequentemente fanno commentare le politiche sull'immigrazione a personaggi e operatori che si occupano di aiuti umanitari, piuttosto che a operatori sociali e insegnanti che si occupano di integrazione.

In altre parole, le politiche sull'immigrazione non hanno l'obiettivo di salvare o aiutare le persone, anche qualora queste si trovino nella condizione di migrante, ma hanno l'obiettivo di far integrare chi vuole venire a vivere in Italia, magari per scelta e non condizionato da un flusso migratorio di massa.

Gli aiuti umanitari, invece, hanno l'obiettivo di salvare vite e alleviare le sofferenze delle popolazioni e delle persone in fuga, tra cui i migranti, e sono assoggettati a diverse dinamiche politiche e geopolitiche essendo gestiti a livello internazionale.

Un salvataggio non può automaticamente tradursi in un visto d'ingresso e tanto meno in una corsia preferenziale per l'ingresso in un paese. Gli ingressi clandestini non possono essere incoraggiati.

D'altro canto i flussi migratori non hanno sempre una matrice emergenziale o di massa, non sono necessariamente connessi a catastrofi umanitarie. Ad esempio, il flusso migratorio di italiani all'estero che ebbe un picco nell'immediato II dopoguerra durò a lungo e per gran parte non fu un'emergenza umanitaria, tant'è vero che l'emigrazione di italiani continuò anche durante il boom economico. Le politiche sull'immigrazione sono finalizzate in primo luogo alla gestione di questi fenomeni migratori. Non sono una soluzione sensata per alleviare le sofferenze generate dai flussi migratori di massa. Anzi, tanto più i flussi migratori sono ingenti e causati da catastrofi umanitarie, tanto più una risposta basata sulle politiche d'immigrazione rischia di essere controproducente e generare problemi.

Le giustificazioni spesso addotte da chi si occupa di aiuti umanitari sulla necessità di aumentare la quota di immigrati che un paese dovrebbe ricevere sono determinate da obiettivi diversi rispetto a chi le politiche sull'immigrazione deve gestirle, sono obiettivi necessariamente diversi rispetto a chi deve guardare dentro la pancia del paese e valutare le risorse sociali, culturali ed economiche disponibili ai fini dell'integrazione.

Naturalmente, questo ragionamento non esclude che le politiche migratorie possano essere modificate a seconda delle circostanze o anche dirette ad aiutare altre popolazioni, di solito limitrofe, ma occorre farlo sempre in subordine rispetto alle esigenze e al volere della popolazione residente. Infatti, gli italiani non sono un popolo razzista e gli esempi di stranieri ben integrati sono la maggioranza.

Le istituzioni non dovrebbero trasmettere ai cittadini la sensazione che le politiche sull'immigrazione sono mal gestite e che sono in balia di eventi esterni o altri interessi ma, al contrario, dovrebbero trasmettere la sensazione che sono gestite senza problemi e che i processi d'integrazione si svolgono in modo ordinato. Così si facilita l'integrazione.

Infine, per quanto riguarda il diritto d'asilo garantito dalla nostra Costituzione, a parte il fatto che non era stato pensato per aiuti di massa, è un istituto che rientra tra gli aiuti umanitari e come tale andrebbe gestito. Le esigenze di un rifugiato possono essere molto diverse rispetto a quelle di un immigrato. Il rifugiato con diritto d'asilo potrebbe non avere alcuna intenzione di integrarsi in un nuovo ordinamento sociale o potrebbe essere vittima di traumi violenti che richiedono un trattamento specifico. Aiutare un rifugiato può essere una missione molto più impegnativa rispetto a quella di far integrare un immigrato. Insomma, un rifugiato non è un immigrato e gli immigrati non sono tutti uguali.

E' quindi fondamentale che una volta entrati in Italia sia gli immigrati sia i rifugiati non siano abbandonati a se stessi ma seguano opportuni e diversi percorsi di integrazione. Questo comporta che l'immigrazione clandestina va combattuta senza se e senza ma perché chi entra attraverso i canali ufficiali non deve essere penalizzato o scavalcato da chi entra in modo illegale o peggio con stratagemmi elaborati da trafficanti di esseri umani.

Purtroppo, l'Italia in passato ha affrontato il fenomeno dell'immigrazione di massa con pressapochismo, in parte sottovalutando il fenomeno senza inquadrarlo in una politica di aiuti umanitari, in parte confidando sulla evidenza che la meta finale della maggior parte degli immigrati clandestini fosse il nord Europa e non l'Italia. Quando gli altri paesi europei hanno chiuso le loro frontiere, o limitato l'accesso ai loro paesi, l'Italia è rimasta con il cerino in mano. Tuttora, permangono sul territorio italiano un numero imprecisato di immigrati entrati clandestinamente nel paese che non si sa bene come gestire. Un'opzione potrebbe essere quella di bloccare completamente l'immigrazione per un periodo di tempo congruo ad assorbire e integrare tutti gli immigrati entrati clandestinamente, visto che rimpatriarli tutti non sembra una soluzione plausibile. E' un'opzione che ti scandalizza?