Cos'è la democrazia

L’apparente semplicità del concetto di democrazia è come la punta di un iceberg che nasconde l’evoluzione della cultura democratica dei popoli nel corso dei secoli. Una evoluzione che si è concretizzata non solo attraverso l’elaborazione concettuale e filosofica ma anche attraverso sommosse popolari e conflitti armati.

Definizione di Democrazia

La democrazia è la forma di governo che offre ai cittadini le migliori garanzie di libertà e rispetto dei diritti umani. Tuttavia, la democrazia non è solamente un metodo di gestione del potere statale ma anche una conquista culturale, un aspetto della cultura popolare che non può essere calato dall’alto all’interno delle comunità.

Infatti, il fallimento di strategie geopolitiche mirate a “esportare la democrazia” testimonia che non basta creare delle istituzioni democratiche per far nascere uno stato democratico, in quanto senza la partecipazione attiva dei cittadini la democrazia non germoglia.

L'ordinamento democratico dello Stato è un elemento fondamentale, ma non sufficiente a fondare una democrazia compiuta. E' indispensabile anche la partecipazione popolare. Se la maggioranza dei cittadini non ha acquisito una cultura democratica in grado di stimolare una partecipazione consapevole, le democrazie imposte dall’alto si svuotano e diventano democrazie di facciata o si disintegrano e si trasformano in dittature e oligarchie.

Non è un caso che negli stati democratici occidentali il popolo abbia svolto una funzione determinante nella costituzione delle varie forme di governo democratiche.

La formazione degli Stati democratici occidentali è stata infatti determinata da un processo conflittuale lungo, altalenante e cruento. Un processo storico che ha consentito ai cittadini di maturare una diffusa consapevolezza del proprio ruolo e i comportamenti necessari per far funzionare i propri ordinamenti democratici. Non a caso ci si riferisce alla democrazia come a una “conquista” dei cittadini.

Insomma, non basta un atto costitutivo a far nascere e prosperare una democazia - tant’è vero che alcune democrazie non hanno una Costituzione formale - ma è fondamentale che la partecipazione politica dei cittadini sia in grado di far funzionare l’ordinamento democratico, di difendere i diritti civili, di sviluppare e preservare una propria cultura democratica.

Se la cultura democratica dei cittadini arretra, nel lungo periodo anche la democrazia regredisce. Quando l’ordinamento democratico non è più alimentato dalla crescita sociale e culturale dei cittadini, quando il popolo si lascia manipolare da illusioni e vane speranze sacrificando la propria libertà in nome di falsi ideali, le democrazie rischiano la dissoluzione.

Paradossalmente, tra i falsi ideali che hanno caratterizzato uno dei periodi più bui della nostra storia bisogna annoverare anche il cosiddetto “governo del popolo” che, inevitabilmente, finisce per incarnarsi in un capo carismatico.

Ma come? La definizione di “democrazia” non deriva dalla unione dei termini greci “demos” e “kratos”, che significano “popolo” e “governo? La democrazia dell’antica Grecia non era il governo del popolo, il governo di tutti i cittadini?

In realtà, il concetto di “popolo” ovvero di cittadino, nel IV secolo avanti Cristo, era molto diverso rispetto all’attuale definizione di popolo.

Il popolo inteso come base elettorale si allarga solamente a partire dalla seconda metà del 1800, quando nelle società occidentali in pochi decenni si triplica la percentuale di individui che hanno diritto di voto, comunque arrivando a includere tra gli elettori solamente il 50% della popolazione negli Stati democraticamente più evoluti.

E tuttavia, l’allargamento della base elettorale e della partecipazione politica apre nuove problematiche, tant’è vero che sul finire del 1800 comincia a essere elaborata la “psicologia delle masse”, una teoria che pone interrogativi inquietanti sul popolo in quanto massa suscettibile di manipolazione attraverso la propaganda.

Nel 1895 Gustave Le Bon pubblicava la “Psicologia delle folle” e nel 1930 José Ortega y Gasset “La ribellione delle masse”. Questi testi, al di là delle opinioni politiche espresse dagli autori, evidenziavano come le “masse"o la “massificazione” potessero diventare dannose per lo sviluppo sociale e la democrazia.

Purtroppo, la teoria sulla masse suggestionabili, superficiali e facilmente manipolabili fu conferma dall’ascesa dei totalitarismi: il regime di Mussolini in Italia, quello di Stalin in Russia e il nazismo di Hitler in Germania.

Le democrazie occidentali hanno imparato a proprie spese che il popolo può facilmente diventare massa manipolabile e strumentalizzabile, attraverso la propaganda di un capo carismatico intenzionato ad aggirare i processi decisionali democratici.

Il fascismo, lo stalinismo e il nazismo sono tutti esempi delle possibili conseguenze del cosiddetto “populismo”, nella sua accezione più negativa, ovvero un metodo di costruzione del consenso politico incentrato su un capo carismatico e basato sulla esaltazione del popolo, la superficialità delle masse e la demagogia.

Questo è il motivo per cui l’art. 1 della Costituzione della Repubblica italiana dopo aver sancito che “la sovranità appartiene al popolo” specifica: “che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.

Insomma, se per un verso la partecipazione popolare è il sale della democrazia, per l’altro verso il popolo può diventare “il popolo in nome del quale” aggirare i processi decisionali dei sistemi democratici.

Quindi, l’ambivalenza del popolo complica il concetto di democrazia.

In estrema sintesi, per esercitare e preservare la democrazia è necessario che il popolo sia partecipativo e consapevole del proprio ruolo, che conosca e sappia utilizzare il proprio ordinamento democratico, che coltivi gli anticorpi per non lasciarsi manipolare o strumentalizzare, che sia in grado di fare autocritica per disinnescare i riflessi condizionati tipici delle folle e delle masse.

In democrazia, la consapevolezza del popolo è una condizione necessaria anche per altre ragioni.

La prima è che il processo decisionale democratico richiede un certo grado di maturità dei soggetti interessati dalle decisioni.

Il metodo decisionale democratico consiste, infatti, di più fasi: l’ascolto del parere di tutti gli interessati, il confronto delle diverse posizioni attraverso una discussione costruttiva, la decisione a maggioranza attraverso una votazione, l’impegno implicito della minoranza ad accettare le decisioni della maggioranza.

Quindi, per funzionare il processo democratico ha bisogno di condivisione, capacità di ascolto, partecipazione, buona fede, rispetto delle posizioni diverse dalle proprie e accettazione delle decisioni prese a maggioranza anche quando vanno contro i propri interessi di parte.

Un’altra ragione, per cui la consapevolezza del popolo è una condizione necessaria, è che nelle moderne democrazie il processo decisionale democratico è concatenato al concetto di rappresentanza democratica.

Il concetto di democrazia si arricchisce quindi di un ulteriore elemento di complessità.

In pratica, quando il numero di soggetti coinvolti nel processo decisionale democratico diventa troppo grande o ingestibile o quando la complessità degli argomenti affrontati richiede una preparazione specifica, i partecipanti alla discussione sono solamente una piccola parte di tutti gli interessati alle decisioni, ovvero sono i rappresentanti del popolo scelti direttamente o indirettamente attraverso libere elezioni.

Più specificatamente, ci si riferisce alla democrazia rappresentativa in contrapposizione alla democrazia diretta.

In sostanza, i cittadini sono chiamati a votare per eleggere dei rappresentanti e non a votare per decidere su un argomento.

E' evidente che saper scegliere dei rappresentanti ai quali delegare decisioni comporta valutazioni molto diverse rispetto a decidere nel merito su un determinato argomento.

Le democrazie contemporanee sono tutte democrazie rappresentative, dove i partiti e le organizzazioni politiche svolgono un ruolo fondamentale. Attraverso questi corpi intermedi i cittadini eleggono i propri rappresentanti e partecipano alla discussione per indirizzare l’azione di governo.

Poiché la presentazione delle liste di candidati alle elezioni è generalmente delegata ai partiti politici è fondamentale che questi siano organizzati democraticamente, infatti la democrazia rappresentativa è tanto più compiuta quanto più è democratico il processo di scelta dei rappresentanti.

Nelle democrazie occidentali permangono anche forme di democrazia diretta, come il referendum popolare, ma quando si discute di partecipazione politica, vengono spesso incluse nel calderone della democrazia diretta anche altre forme di partecipazione diretta dei cittadini ai processi decisionali democratici.

In effetti, la definizione di “democrazia diretta” si presta a diverse interpretazioni. I dizionari generalmente definiscono la democrazia diretta come una “forma di governo in cui il potere è esercitato direttamente dal popolo”, senza ulteriori specificazioni riguardo al tipo di potere e altre modalità di esercizio oltre quella diretta.

Tuttavia, essendo la democrazia diretta generalmente posta in antitesi con quella rappresentativa, si dovrebbero considerare strumenti di democrazia diretta solo quegli istituti che consentono ai cittadini di aggirare o scavalcare il potere degli organi rappresentativi, ovvero gli organi ai quali è generalmente affidato il potere legislativo.

Accettando questa definizione, l’unico istituto delle moderne democrazie che consente ai cittadini di sostituirsi al sistema politico e determinare collettivamente una decisione su una norma o un provvedimento è il referendum popolare.

Le altre forme di partecipazione diretta dei cittadini al processo decisionale democratico, come le petizioni, le leggi di iniziativa popolare, i referendum consultivi e gli istituti di democrazia partecipativa o deliberativa, sebbene spesso annoverate tra gli strumenti di democrazia diretta non contemplano l’esercizio di un potere decisionale e, quindi, a rigor di logica dovrebbero essere escluse dal concetto di democrazia diretta. In questi casi il potere decisorio su un determinato argomento resta in capo alle assemblee elette e non viene esercitato direttamente dal popolo.

Occorre, quindi, distinguere la democrazia diretta da altre forme di partecipazione popolare comunque dirette ma svolte in collaborazione con gli organi rappresentativi delle moderne democrazie. Tra queste merita particolare attenzione la democrazia partecipativa o deliberativa, che consente di superare uno dei limiti più consistenti della democrazia diretta, ovvero la carenza di risorse in termini di tempo e competenze per poter decidere nel merito degli argomenti.

In modo superficiale, la democrazia diretta è stata spesso descritta come una forma di democrazia più rispondente e più vicina alle esigenze del popolo, come una forma di governo in grado di rappresentare meglio la volontà popolare rispetto alle forme di governo della democrazia rappresentativa. Si tratta di una suggestione che trae il suo fascino dalla prima forma di governo democratico della storia, ovvero dalla democrazia ateniese.

Tuttavia, come già accennato, il concetto di popolo nell’antica Grecia del IV secolo avanti cristo era molto diverso da quello che pensiamo oggi. La democrazia diretta era applicata nel contesto della cosiddetta “polis”, che includeva solo una parte della popolazione dell’antica Grecia ed era animata da una consistente formazione culturale dei partecipanti alla vita pubblica.

Bisogna inoltre evidenziare che gli argomenti affrontati dall’ecclesia, l’assemblea cittadina della polis, erano rapportati ai tempi e non potevano avere la complessità che si è stratificata nei millenni successivi.

Ciò nonostante, persino nell’antica Grecia alcuni filosofi consideravano la democrazia diretta con una certa diffidenza, poiché pensavano potesse facilmente degenerare in “oclocrazia”, ovvero in una forma di governo che poneva lo Stato in balia di masse manipolate e prive di coscienza politica.

In sostanza anche gli antichi greci si erano posti il problema della manovrabilità delle masse, del cosiddetto effetto gregge.

Non è un caso che nelle occasioni pratiche di esercizio della democrazia diretta attraverso i referendum, gli istituti che si occupano di sondaggi elettorali rilevino spesso un allineamento acritico dei votanti sulle posizioni espresse dai principali “influencer”, partiti politici, associazioni e personalità pubbliche.

Altresì è possibile rilevare come le consultazioni popolari in genere siano frequentemente strumentalizzate ai fini della lotta politica.

In pratica, lo stesso potere politico potrebbe essere tentato di ricorrere alle consultazioni popolari per aggirare le istituzioni rappresentative democraticamente elette o per schivare le proprie responsabilità su un determinato tema politico.

Nonostante questi rischi, il referendum popolare resta uno strumento fondamentale nelle moderne democrazie, poiché se usato correttamente, in particolare per interpretare la volontà popolare su argomenti che interessano tutti poiché chiamano in causa le coscienze o gli orientamenti della società, consente di rimuovere efficacemente determinati ostacoli all’evoluzione della società civile.

Ma un’espansione delle forme di democrazia diretta che consentano ai cittadini di decidere direttamente con il proprio voto l’esito di procedimenti normativi - o addirittura di espandere l’uso delle consultazioni popolari dando un’ambigua veste legale a orientamenti sociali di fatto rilevabili con i sondaggi di opinione - non migliorerebbe il processo decisionale democratico, ma al contrario lo renderebbe più fragile.

Infatti, oltre ai rischi già elencati, il principale limite nell’esercizio della democrazia diretta è costituito dall’impegno - in termini di tempo, competenze ed esperienze - richiesto a tutti i cittadini di studiare un progetto di legge o un argomento prima di potersi esprimere su di esso, anche con un semplice si o no.

Paragonando la democrazia diretta alla più evoluta democrazia deliberativa, dove c’è la partecipazione diretta dei cittadini ma la titolarità e la responsabilità dell’azione decisionale resta in capo alle amministrazioni pubbliche, si rileva come quest’ultima consenta di prendere decisioni tenendo conto del parere di tutti i soggetti coinvolti in modo più costruttivo rispetto al referendum popolare.

Infatti, nella democrazia deliberativa i cittadini che sono effettivamente interessati a partecipare a tutte le fasi del processo decisionale pubblico possono contribuire in modo efficiente e soprattutto sostenibile, documentandosi e interagendo con la pubblica amministrazione responsabile del procedimento.

Il nocciolo della questione è che, se è vero che in democrazia tutti abbiamo il diritto di partecipare quotidianamente agli affari dello Stato, la maggior parte di noi non ha né il tempo, né le conoscenze, né le risorse per farlo direttamente.

La democrazia deliberativa consente di superare questi limiti conciliando il ruolo di cittadino attivo con gli altri impegni della vita professionale e privata poiché adotta un modello di partecipazione popolare flessibile rispetto ai temi. In pratica, il cittadino non è obbligato a partecipare alla decisione se non glie ne importa nulla o se non è disposto a informarsi. Invece, nella democrazia diretta tutti sono chiamati a partecipare alla decisione e a votarla, probabilmente scegliendo a caso o suggestionati dalla propaganda.

La comparazione tra democrazia rappresentativa e diretta non è fine a se stessa, poiché le due diverse modalità di esercizio della democrazia si ripercuotono sull’evoluzione della cultura democratica dei cittadini.

In sintesi, poiché nella democrazia rappresentativa si vota per eleggere mentre nella democrazia diretta si vota per decidere su un argomento, nelle moderne democrazie i cittadini devono prestare maggiore attenzione a come scelgono i propri rappresentanti piuttosto che soppesare i pro e i contro delle decisioni di merito.

Estremizzando, i cittadini non hanno nemmeno necessità di valutare ex-ante la correttezza delle scelte compiute dagli eletti in quanto possono valutare ex-post direttamente i risultati di quelle scelte. Ovviamente, per valutare l’affidabilità dei candidati si deve giudicare la loro coerenza e preparazione anche vagliando i temi che affrontano nelle loro discussioni politiche.

Riassumendo, l’esercizio della democrazia si fonda su due pilastri principali: l’ordinamento democratico dello stato e la partecipazione dei cittadini.

Per quanto riguarda la partecipazione dei cittadini abbiamo delineato alcune criticità e associato il corretto funzionamento delle forme di governo democratiche all’evoluzione della cultura democratica dei popoli. Abbiamo approfondito i concetti di democrazia diretta e rappresentativa e le conseguenze dei due approcci sulle capacità di giudizio dei cittadini. Abbiamo evidenziato l’importanza del ruolo svolto dai cittadini che dovrebbero essere consapevoli del proprio ruolo, conoscere almeno sommariamente l’organizzazione democratica del proprio Stato e, soprattutto, dare valore ai principi posti alla base degli ordinamenti democratici che garantiscono le libertà e i diritti dei cittadini.

Per quanto riguarda l’ordinamento democratico dello stato, che a grandi linee si caratterizza per il ruolo predominante degli organi collegiali costituiti da rappresentati eletti dai cittadini e per la separazione concettuale dei tre principali poteri dello stato (esecutivo, legislativo e giudiziario), si rimanda alla sezione dedicata.

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