La crisi del Governo Conte bis e la formazione del Governo Draghi

Periodo di riferimento: 2021
La crisi del governo Conte bis è stata innescata dall’insoddisfazione di Italia Viva, il partito guidato dall’ex Presidente del Consiglio Matteo Renzi, riguardo l’elaborazione e la futura gestione del PNRR, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, necessario per mettere a terra entro il 2025 i 191,5 miliardi di Euro di investimenti pubblici finanziati dal piano europeo Next generation EU. Probabilmente, non era nelle intenzioni dei partiti della maggioranza far scivolare la crisi di governo verso la nomina di un governo tecnico e l’allargamento della maggioranza parlamentare, ma fortunatamente l’incarico per la formazione del nuovo esecutivo assegnato dal Presidente della Repubblica a Mario Draghi riuscì a mettere tutti d’accordo, o quasi.

Cronaca politica

La crisi del governo Conte bis è stata determinata dal senatore Matteo Renzi, leader di Italia Viva, e più specificatamente dalle dimissioni delle Ministre di Italia Viva, Teresa Bellanova e Elena Bonetti.

Le modalità e le motivazioni di questa crisi di governo sono controverse, tant’è vero che anche la soluzione della crisi, la formazione del Governo Draghi, fu piuttosto improvvisa e inaspettata.

Premessa

Italia Viva era stata fondata dal senatore Matteo Renzi e dai parlamentari fuoriusciti dal Partito Democratico il 19 settembre 2019 a distanza di due settimane dal giuramento del Governo Conte bis (5 settembre 2019). La fondazione di Italia Viva non aveva messo in discussione la prosecuzione del Governo appena nominato, anche perché Matteo Renzi, in qualità di senatore ed ex segretario del PD, era stato uno dei promotori dell’accordo tra il Movimento 5 Stelle e il Partito Democratico, di cui era segretario Nicola Zingaretti. Tuttavia, fu avanzato da subito il sospetto che Matteo Renzi avesse abbandonato il PD e fondato Italia Viva per poter avere le mani libere e far cadere il governo in un secondo momento.

Un’altro evento correlato a questa crisi di governo è il varo del programma europeo Next generation EU, un fondo per la ripresa economica dei paesi membri dell’Unione Europea, approvato nel luglio 2020 conseguentemente alla crisi economica generata dalla pandemia di COVID-19.

Questo fondo (noto anche come Recovery Fund) prevede l’erogazione di prestiti e sovvenzioni a fondo perduto, per un arco temporale che va dal 2021 al 2026, per i paesi membri che ne fanno richiesta attraverso la presentazione di un piano di investimenti pubblici sottoposto all’approvazione della commissione europea.

Il piano italiano, il cosiddetto PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) è stato approvato una prima volta dal governo Conte bis nel gennaio 2021 e poi parzialmente modificato e nuovamente approvato e presentato alla commissione europea ad aprile 2021 dal governo Draghi, essendo nel frattempo intervenuta la crisi di governo (26 gennaio 2021). IL PNRR italiano è stato definitivamente approvato dalla commissione europea il 22 giugno 2021.

All’Italia sono stati concessi 122,6 miliardi di euro in prestiti e 68,9 miliardi a fondo perduto, ma la caratteristica fondamentale di questo piano europeo è la condizionalità dei finanziamenti che sono subordinati alla conformità degli obiettivi, alla realizzazione degli interventi nei tempi previsti - che non può protrarsi oltre il 31 dicembre 2026 - e all’attuazione di una serie di riforme suddivise in tre tipologie: orizzontali, abilitanti e settoriali.

In pratica, per ottenere i finanziamenti e le sovvenzioni, gli stati membri devono trovare il modo di superare eventuali colli di bottiglia, rallentamenti, inefficienze e tutte quelle distorsioni della spesa pubblica che comprometterebbero l’analisi costi/benefici degli interventi. Evidentemente, una sfida molto impegnativa per qualsiasi governo italiano che necessita di una certa continuità nell’azione di governo considerato anche che l’erogazione della maggior parte dei fondi è prevista per l’anno fiscale 2025.

L’antefatto

Con la formazione del Governo Conte bis la situazione politica italiana si era praticamente stabilizzata in un sistema bipolare, anche se le piattaforme politiche di entrambe le coalizioni erano piuttosto incongruenti e anacronistiche rispetto alle esigenze di crescita economica del paese.

Da una parte la destra con una piattaforma politica dominata dal "sovranismo all'italiana". Dall'altra una sinistra europeista ma meno progressista e condizionata dalle rivendicazioni del Movimento 5 Stelle, il quale dopo l'esperienza di governo con la Lega aveva maturato una coscienza politica meno avulsa dal funzionamento dei sistemi democratici parlamentari nonché dalle peculiari caratteristiche dell'ordinamento italiano.

Questa contrapposizione bipolare non lasciava spazio ai partiti dotati di piattaforme politiche più orientate alla crescita e allo sviluppo economico che, per inciso, costituiva la principale priorità per il paese.

Tra queste forze politiche più pragmatiche e meno idealiste, orfane della corrente pro-crescita del partito Democratico, si annoverano Azione, guidata dall'eurodeputato Carlo Calenda nonché ex Ministro dello Sviluppo economico, e Italia Viva, guidata dal senatore Matteo Renzi nonché ex Presidente del Consiglio.

E fu infatti proprio Italia Viva, in qualità di componente della maggioranza parlamentare, a pungolare il governo sul tema della crescita economica, in particolare in occasione della predisposizione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza da presentare all'Unione Europea per accedere alle consistenti risorse finaziarie messe a disposizione dell'Italia dal Next Generation EU.

L'atteggiamento critico di Matteo Renzi nei confronti del governo su questo tema incontrò anche il favore di buona parte dell'opinione pubblica. Tuttavia l'acuirsi dello scontro politico tra Italia Viva e il Governo, in particolare la contrapposizione con il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte piuttosto che con le altre forze politiche componenti la maggioranza, suscitò diverse perplessità e diffidenze sulle reali intenzioni di Matteo Renzi.

La crisi di governo

La situazione politica apparentemente congelata dall'emergenza sanitaria ed economica fu quindi scossa, in modo inaspettato e forse azzardato, dalla crisi di governo determinata dalle dimissioni delle Ministre di Italia Viva, Teresa Bellanova e Elena Bonetti.

Difficile valutare in che misura l'atto politico che originò la crisi del Governo Conte II fosse premeditato o frutto di una escalation alimentata da incomprensioni, astio e pregiudizi, nel contesto di elezioni anticipate improbabili. Fatto è che le conseguenze della crisi di governo in un periodo di emergenza sanitaria ed economica, a pochi mesi dal semestre bianco del Presidente della Repubblica, determinarono una situazione molto difficile e delicata, con rischi consistenti di cui i cittadini avrebbero volentieri fatto a meno.

Dopo un tentativo di ripartenza del Governo Conte II senza Italia Viva, avendo incassato la fiducia del Parlamento ma senza una maggioranza assoluta, Giuseppe Conte rassegnò le dimissioni da Presidente del Consiglio al fine di prevenire una ormai probabile situazione di stallo dell’esecutivo.

Successivamente, il Presidente della Repubblica assegnò un mandato esplorativo al Presidente della Camera dei Deputati, Roberto Fico, al fine di agevolare una trattativa tutta interna alla precedente maggioranza parlamentare, che si concluse con la constatazione che non c’erano le premesse per un nuovo accordo.

Tuttavia, a un certo punto della trattativa, poche ore prima della conclusione del mandato esplorativo assegnato al Presidente della Camera, fu fatto trapelare che un accordo di governo con la stessa identica maggioranza parlamentare e addirittura con lo stesso Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, fosse possibile. Come a dire: la crisi di governo era uno scherzo.

In realtà, come evidenziato ne “La situazione politica italiana e la pandemia Covid 19” un eventuale rimpasto del governo, ovvero la sua rimodulazione con o senza l’avvicendamento del presidente del Consiglio, era un’operazione politica altamente improbabile da realizzare in quel contesto, poiché uno scossone ai fragili equilibri politici - sia tra partiti ma soprattutto interni ai partiti - suggellati dal Governo Conte II avrebbe reso molto improbabile la loro ricomposizione. Si era quindi determinata una situazione di stallo interna all’ex maggioranza parlamentare.

Infatti, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, preso atto della incapacità dei partiti di ricostituire una maggioranza politica incaricò Mario Draghi, ex presidente della Banca Centrale Europea, di formare un governo tecnico che consentisse di superare la difficile situazione di emergenza economica e sanitaria ed evitare il ricorso a elezioni anticipate durante la perdurante crisi pandemica.

Insomma, la crisi di governo aveva fatto scivolare tutti i partiti politici della ex maggioranza in un cul-de-sac segnando la fine del governo politico e l’inizio di un governo tecnico. Difficile supporre che questo esito fosse premeditato, poiché la formazione di un governo tecnico di fatto riduce il potere d’influenza dei partiti politici sul governo e allo stesso tempo tende ad allargare lo spettro politico della maggioranza parlamentare.

Le conseguenze politiche del nuovo governo tecnico

Dopo una prima fase caratterizzata dalla diffidenza di alcune forze politiche nei confronti del nascituro governo tecnico, tutti i principali partiti politici, con l'eccezione di Fratelli d'Italia, cambiarono idea e decisero di sostenere questo esecutivo, anche perché a differenza del Governo Monti, che era stato chiamato a tagliare la spesa pubblica, il Governo Draghi era stato chiamato a gestire consistenti risorse finanziarie pubbliche aggiuntive derivanti dal Next Generation Eu.

La formazione del Governo Draghi, la cui composizione rispecchiava gli equilibri della nuova ampia maggioranza parlamentare, ha determinato un cambiamento della situazione politica, che comunque resta ancorata alla precedente situazione fortemente condizionata dalla pandemia e dai finanziamenti concessi all'Italia dall'Unione Europea.

Proprio durante i colloqui che il Presidente del Consiglio incaricato, Mario Draghi, ha tenuto con i partiti politici e le forze sociali durante la fase di formazione del governo, sono diventate evidenti le sostanziali novità sul piano politico, la più consistente delle quali è il mutato atteggiamento della Lega nei confronti dei governi tecnici in generale e dell'Unione Europea in particolare.

In realtà, le premesse al cambiamento di indirizzo politico della Lega che l'avrebbero poi portata a sostenere il Governo Draghi, erano maturate già durante il Governo Conte II, quando l'emergenza sanitaria dovuta alla pandemia e il successivo intervento finanziario dell'Unione Europea a sostegno dell'Italia avevano tolto la terra sotto i piedi del sovranismo all'italiana, come già evidenziato ne "La situazione politica italiana e la pandemia Covid 19".

La Lega cambiò quindi strategia politica abbracciando il governo di un ex presidente della Banca Centrale Europea. Si è trattato di un'avvenimento politico rilevante con conseguenze consistenti sull'assetto complessivo degli schieramenti politici.

Infatti, l’abbandono della piattaforma politica sovranista ha ricompattato la coalizione di centrodestra e rivitalizzato Forza Italia, che ha fortemente rinsaldato i rapporti con la Lega a livello politico nazionale poiché entrambi i partiti sono entrati a far parte sia della maggioranza parlamentare che del Governo.

Probabilmente, la stagione dell'antieuropeismo e del populismo sta tramontando anche se una componente della coalizione di destra, Fratelli d'Italia, è rimasta fuori dal governo, pronta a trarre vantaggio elettorale da eventuali recrudescenze di quei sentimenti populisti che hanno attraversato la società italiana per circa un ventennio.

Per quanto riguarda il centrosinistra l’alleanza formata da Partito Democratico e Movimento 5 Stelle, sebbene stordita dall’evoluzione degli eventi, aveva sostanzialmente e forse inaspettatamente retto all’impatto della crisi di governo. Più che l’atteggiamento abbastanza scontato e sempre “responsabile” del Partito Democratico occorre evidenziare come il Movimento 5 Stelle abbia dimostrato di essere diventato una forza politica matura (o opportunista a seconda di come la si voglia considerare, ma in tal caso bisognerebbe mettere sul piatto della bilancia anche l’opportunismo della Lega che da autonomista è diventata sovranista mentre oggi è europeista e atlantista). Infatti, anche per il Movimento 5 Stelle come per la Lega il sostegno a un governo guidato dall’ex presidente della Banca Centrale Europea è stato un passo in direzione opposta alle proprie posizioni politiche del passato.

Sebbene la conversione all'europeismo del Movimento 5 Stelle sia stata più graduale e meno improvvisa rispetto a quella della Lega, in particolare considerando l'apporto sostanziale che il Governo Conte II e il Movimento 5 Stelle (con l'elezione di Ursula von der Leyen) hanno dato al successo della trattativa con l'Unione Europea, occorre evidenziare come il M5S abbia costruito il suo successo elettorale contrastando le elite economiche e finanziarie considerate ciniche nei confronti dei cittadini.

In sostanza, la scelta di sostenere il governo Draghi da una parte e di non rompere l'alleanza con il Partito Democratico dall'altra, è stata per il Movimento 5 Stelle una scelta molto sofferta e non priva di strascichi e polemiche, evidenziate dai parlamentari dissidenti subitaneamente espulsi dal partito.

In sintesi, il bipolarismo che si era formato con il governo Conte II sembra essere sopravissuto alla crisi di governo, anzi sembra essersi rafforzato, da una parte tramite la Lega che avvicinandosi alle posizioni europeiste e atlantiste di Forza Italia ha ricompattato il centrodestra e, dall'altra tramite il Movimento 5 Stelle che non ha rinnegato l'alleanza con il Partito Democratico e ha accettato di sostenere il governo Draghi.

Per quanto riguarda Italia Viva, che ha determinato la crisi di governo magari anche per ritagliarsi uno spazio politico più ampio, la potenziale concorrenza di una destra europeista e atlantista potrebbe deteminare il restringimento di quello spazio politico fino ad oggi non presidiato da altri partiti, a parte Azione.

Le ripercussioni sull’equilibrio del sistema parlamentare

Sebbene, la quasi totalità della maggioranza politica che sosteneva il governo Conte II non si sia sfaldata con la crisi di governo, l'alleanza composta da Movimento 5 Stelle, Partito Democratico e Liberi e Uguali, che già faticava a imporre un indirizzo politico consistente all'esecutivo (a causa sia della situazione di emergenza generata dalla pandemia che delle vicende politiche che avevano portato alla formazione del Governo Conte bis), ha visto parecchio ridimensionata la sua capacità di manovra nello spazio politico della maggioranza parlamentare a causa del massiccio ingresso di Lega e Forza Italia. Mentre Italia Viva è diventata marginale.

In ogni caso, data la natura dei governi tecnici in generale e in particolare di questo esecutivo guidato da una personalità molto influente, era evidente che l'indirizzo politico del governo non sarebbe stato più coerente con la maggioranza parlamentare.

Si è assistito cioè a una sorta di inversione dei ruoli, mentre formalmente è il Parlamento che concede la fiducia al Governo, nella sostanza è stato il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, che legittimato ex ante dalla fiducia delle istituzioni e dell'opinione pubblica ha poi instaurato una relazione di fiducia con i singoli partiti politici della maggioranza parlamentare.

In pratica, il governo tecnico di Mario Draghi ha evidenziato come la relazione che intercorre tra partiti italiani ed esecutivo sia molto simile alle dinamiche politiche dei sistemi democratici presidenziali.

In altre parole, la maggioranza parlamentare non costituisce la stanza di compensazione delle diverse sensibilità di partito, non elabora un unico indirizzo politico condiviso ma tanti indirizzi politici quanti sono i partiti che la compongono. Se il Governo ha una guida autorevole che gode della fiducia dell'opinione pubblica può forzare i partiti politici ad accettare un compromesso organico, altrimenti è costretto a venire a patti con ogni singolo partito che controlla anche un solo voto necessario a far approvare un provvedimento.

Sarebbe quindi necessaria una riflessione sullo stato di salute della forma di governo parlamentare italiana, poiché l'instabilità dei governi è l'instabilità dell'organo dello Stato, titolare del potere esecutivo, che in un contesto globalizzato e competitivo assolve funzioni sempre più critiche.

Certamente, in Italia siamo lontani dalla logica parlamentare del sistema tedesco che attraverso la sfiducia costruttiva obbliga le forze politiche a proporre una maggioranza alternativa prima di poter sfiduciare il governo, ma la situazione italiana è aggravata dall'evidenza che l'instabilità dei governi oltre a dipendere dalla instabilità delle maggioranze parlamentari, dipende dalle vicende dei singoli partiti anche quando questi non mettono in discussione la maggioranza stessa.

Le modalità con le quali il senatore Matteo Renzi, leader di Italia Viva, ha scatenato la crisi di governo sono esemplificative, ma si tratta solamente dell’ultimo episodio di una serie. Infatti, la crisi di governo è sembrata incomprensibile ai cittadini (oltre che per la situazione di emergenza economica e sanitaria) anche perché una forza politica, piccola ma numericamente determinante per la maggioranza parlamentare, ha alzato la voce non contro gli altri partiti della sua stessa maggioranza (che era senza alternative) ma contro il governo e in particolare contro il Presidente del Consiglio.

Procedendo a ritroso, il Presidente del Consiglio che assume il ruolo di mediatore tra due forze politiche della maggioranza, come accaduto per il governo Conte I, non sembra in linea con le disposizioni degli art. 92, 93 e 95 della Costituzione.

E ancora, un'osservatore poco attento alle vicende interne dei partiti politici italiani troverebbe incomprensibili i tre cambi di governo durante la XVII legislatura, visto che il Governo Letta, il Governo Renzi e il Governo Gentiloni sono stati di fatto sostenuti dalla stessa maggioranza politica (un cambio di maggioranza c'è stato in conseguenza della scissione del Popolo della Libertà ma, paradossalmente, non ha determinato una crisi di governo).

Il Governo appare sempre più come una sorta di stanza di compensazione dei partiti politici piuttosto che come uno dei tre poteri dello stato titolare della funzione esecutiva.

Come il cane che si morde la coda, questa discrasia del conflitto tra partiti politici ha generato sia un indebolimento del potere legislativo, poiché il Parlamento non è più in grado di legiferare di propria iniziativa, sia del potere esecutivo poiché il governo non è più in grado di amministrare essendo continuamente ostaggio dei partiti politici.

Fintantoché a guidare il Governo sarà una personalità autorevole, come è Mario Draghi, probabilmente si potrà sopperire a queste discrasie istituzionali ma, successivamente, senza una riforma o una forte presa di coscienza dei partiti politici la situazione potrebbe precipitare verso una sostanziale inconcludenza.