Il Governo Renzi

Periodo di riferimento: 2014 - 2016
Per un certo periodo di tempo Matteo Renzi è apparso all’opinione pubblica e a buona parte della classe dirigente italiana come l’uomo giusto nel posto giusto, ovvero come il personaggio politico in grado di svecchiare il Partito Democratico e le stesse istituzioni della repubblica. In questo racconto il termine “svecchiare” appare particolarmente significativo, sia perché riferito alla necessità di aggiornare la piattaforma politica del PD e l’immobilismo delle istituzioni italiane, sia perché evocativo del registro comunicativo utilizzato da Matteo Renzi che faceva leva anche su dati anagrafici, ad esempio con la metafora della “rottamazione”, termine poi giudicato offensivo da alcuni membri anziani del Partito Democratico. Sebbene lo stile di comunicazione irriverente e provocatorio di Matteo Renzi fosse coerente con il richiamo al conflitto generazionale, successivamente fu oggetto di incomprensioni e aspre critiche spesso pretestuose, considerato che Matteo Renzi è stato il più giovane Presidente del Consiglio italiano. La formazione del governo Renzi ebbe un forte sostegno dell’opinione pubblica e dalla classe dirigente del paese poiché il nuovo esecutivo nasceva con l’intento di attuare le riforme economiche e istituzionali, attraverso un’operazione politica di ri-allargamento del consenso parlamentare quantomeno attorno alle riforme istituzionali, consenso che era venuto a mancare durante il governo Letta. La nomina a capo del governo avveniva a circa un’anno di distanza dalla sua elezione a segretario del Partito Democratico, avvenuta il 15 Dicembre 2013 dopo aver ottenuto una schiacciante maggioranza (il 67,5% dei voti) alle primarie che erano state convocate a distanza di un solo anno dalle precedenti, a causa delle dimissioni dei vertici del PD in seguito alle farraginose strategie del PD per le elezioni, politiche e del presidente della repubblica, del 2013.

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Il Governo Renzi nasce per portare a compimento un ambizioso progetto politico che ne ha caratterizzato fortemente la natura e l'indirizzo, ma parte di questo progetto politico con il passare del tempo è diventato una sorta di peccato originale che ne ha segnato la sorte assieme a quella dell'esecutivo.

Il progetto politico consisteva in un vasto programma di riforme, suddivise in due categorie: le riforme istituzionali e le riforme sociali ed economiche.

Le riforme istituzionali avevano l'obiettivo di migliorare o rivedere il funzionamento di alcuni organi dello Stato e della Pubblica Amministrazione e di contribuire, assieme alle riforme sociali ed economiche, allo sviluppo del paese. Le riforme sociali ed economiche erano mirate a far ripartire la crescita economica e ad alleviare le conseguenze dirette della perdurante crisi.

Gli aspetti controversi di questo ambizioso programma politico riguardavano la legge elettorale e le riforme istituzionali che comportavano la modifica della Costituzione della Repubblica Italiana e che consistevano nell'abolizione del bicameralismo paritario, nell'abolizione definitiva delle province e del CNEL, nella riduzione del numero dei parlamentari e nella revisione delle competenze assegnate a Stato e regioni.

Le riforme della costituzione e della legge elettorale non solo erano due priorità del Governo Renzi ma, a ben vedere, costituivano la motivazione principale della sua stessa esistenza. Il Governo Renzi nasceva, infatti, conseguentemente all'accordo politico tra il Partito Democratico, di cui Matteo Renzi era segretario, e Forza Italia, di cui Silvio Berlusconi era presidente, nonostante la sua leadership fosse stata indebolita dalla espulsione dal Senato. Questo accordo politico, il cosiddetto patto del Nazareno, non era finalizzato alla formazione e al sostegno di un nuovo governo, tant'è vero che la maggioranza parlamentare che sosteneva il dimissionario Governo Letta seppur risicata non era stata messa in discussione, ma era finalizzato proprio alla realizzazione delle riforme costituzionali e della legge elettorale, che per la procedura di approvazione e per correttezza istituzionale necessitavano di una maggioranza più larga rispetto a quella disposta a sostenere l'esecutivo.

La necessità e l'urgenza delle riforme istituzionali erano le ragioni principali che avevano spinto il Partito Democratico ad accordarsi con Forza Italia, tuttavia il dubbio che il patto del Nazareno nascondesse contenuti e motivazioni segrete aveva indotto i media e alcune forze politiche ad alimentare un clima di sospetto con ricorrenti e insistenti insinuazioni. Nonostante la spropositata dietrologia sul patto del Nazareno si sia rivelata infondata, è probabile che alcune motivazioni non espressamente dichiarate abbiano influito sull'accordo, come ad esempio, gli interessi personali di Berlusconi riguardo la sua legittimazione politica, la preoccupazione per l'avanzata di forze politiche populiste capaci di cavalcare il voto di protesta generato dalla crisi economica, il ruolo svolto dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ancora più preoccupato dopo la sua rielezione della impellenza delle riforme istituzionali e della tenuta del Governo Letta. Più artificiosa è stata l'accusa rivolta a Matteo Renzi di aver tentato di rifondare una sorta di Democrazia Cristiana, il cosiddetto partito della nazione, essendo ormai la terza volta che Berlusconi si accordava con il Partito Democratico, fermo restando che le precedenti intese, per la formazione del Governo Monti e del Governo Letta, erano state forzate da situazioni di emergenza.

Naturalmente, nel Partito Democratico c'era chi non condivideva questo accordo che, assieme all'elezione di Matteo Renzi a segretario, suggellava il prevalere della componente centrista all'interno del PD, a discapito di quella componente che si era adoperata per marginalizzare Berlusconi durante il Governo Letta. Infatti, l'opposizione interna alla nuova linea politica del PD criticò la strategia di Renzi e del “suo” Partito Democratico utilizzando ad arte gli aggettivi possessivi per connotare di personalismo la figura del nuovo segretario, accusandolo di essere un “uomo solo al comando”, nonostante Renzi rappresentasse una larghissima maggioranza dell'assemblea di partito e fosse stato democraticamente eletto.

Sebbene la spaccatura all'interno del Partito Democratico non fosse da sottovalutare non era tuttavia questo il peccato originale del Governo Renzi. Il peccato originale del Governo Renzi derivava piuttosto dall'eredità lasciatagli dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che aveva svolto un ruolo di stimolo e di propulsione affinché il Parlamento si occupasse in modo risolutivo delle riforme istituzionali.

Per le modalità e le finalità con le quali fu concepito, il Governo Renzi fu investito, o si sentì investito, dello stesso ruolo di stimolo e di propulsione nei confronti del Parlamento che aveva avuto fino ad allora il Presidente della Repubblica. Ma il Presidente della Repubblica nell'ordinamento costituzionale italiano ha un ruolo terzo e al di sopra delle parti, mentre il Governo è per definizione un organo di parte che difficilmente può permettersi di incalzare il Parlamento senza essere accusato di pressioni indebite e di invadenza dalle opposizioni.

Infatti, anche se il Parlamento aveva legittimato il ruolo dell'esecutivo sulle riforme costituzionali votando la fiducia al Governo Renzi sulla base di un discorso programmatico alle camere che non lasciava dubbi né sull'indirizzo politico che il Governo avrebbe perseguito, né sulla stessa ragion d'essere di un Governo indissolubilmente legato alle riforme, successivamente, a causa dell'inevitabile e prevedibile logoramento dell'esecutivo, alla prova del referendum confermativo, il Governo si trovò a scontare il suo peccato originale poiché le riforme costituzionali furono percepite dall'opinione pubblica come prodotte dal Governo e non dal Parlamento, che in realtà le aveva approvate per ben due volte.

Ma un'analisi del Governo Renzi non può limitarsi al ruolo giocato sulle riforme costituzionali, sebbene questo ruolo sia stato importante e abbia determinato le dimissioni di Matteo Renzi da Presidente del Consiglio.

Matteo Renzi ha guidato l'esecutivo dal 22 febbraio 2014 al 12 dicembre 2016, per quasi 2 anni e 10 mesi, costituendo il quarto Governo più longevo nella storia della Repubblica. Quello di Renzi è stato il sessantatreesimo Governo della Repubblica Italiana a fronte di diciassette legislature (rinnovi del Parlamento), ed ha ottenuto la fiducia con 169 voti favorevoli e 139 contrari al Senato e 378 voti favorevoli, 220 contrari e 1 astenuto alla Camera dei Deputati.

Matteo Renzi aveva ricevuto l'incarico di formare un nuovo governo dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, il 17 febbraio 2014 in seguito alle dimissioni del Presidente del Consiglio Enrico Letta, che era stato sfiduciato non dal Parlamento ma dal suo stesso partito nella Direzione Nazionale del Partito Democratico del 13 Febbraio 2014. In modo simile, le dimissioni di Renzi da Presidente del Consiglio non furono dovute a un atto di sfiducia del Parlamento, ma a una decisione personale, conseguente all'esito sfavorevole del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016. Matteo Renzi manifestò, infatti, l'intenzione di rassegnare le dimissioni il 5 dicembre 2016, e queste furono accettate formalmente dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il 7 Dicembre dopo l'approvazione definitiva da parte del Senato della legge di bilancio 2017.

Paradossalmente, la maggioranza parlamentare della XVII legislatura, dopo la defezione di Forza Italia durante il Governo Letta e nonostante numerosi cambi di casacca, si è rivelata piuttosto solida avendo di fatto sostenuto tutti e tre i governi della legislatura. Ma il Governo Renzi è stato il primo vero governo politico della XVII legislatura, poiché l'accordo che aveva consentito la nascita del precedente Governo Letta era stato piuttosto ambiguo in quanto, nonostante le formali dichiarazioni di assunzione di responsabilità politica del Partito Democratico e di Forza Italia, non era stato né spontaneo, né fondato su un progetto politico condiviso. Al limite, si potrebbe sostenere che il Governo Letta sia stato sostenuto da una maggioranza politica successivamente alla nascita del Nuovo Centrodestra e alla fuoriuscita di Forza Italia dalla maggioranza.

Il Governo Renzi è stato quindi un governo politico nato dall'iniziativa spontanea del Partito Democratico e nello specifico del suo neoeletto segretario Matteo Renzi, ma contrariamente a quanto sostenuto da alcuni non è stato un governo di centrosinistra, non solamente per il modesto ma decisivo peso politico del Nuovo Centrodestra. Infatti, sebbene sia a destra che a sinistra si sia tentato di minimizzare la portata dell'accordo con le forza politiche di centrodestra, nella sostanza il Governo Renzi è stato caratterizzato da un indirizzo politico ancora da larghe intese come e forse più del Governo Letta, poiché le “larghe intese” oltre a essere necessarie per formare la maggioranza di governo erano necessarie per formare una maggioranza parlamentare più ampia che fosse in grado di sostenere e approvare la legge elettorale e le riforme costituzionali (il patto del Nazareno).

A distanza di circa tre mesi dalla nascita del governo Renzi, alle elezioni europee del 25 Maggio 2014 gli elettori premiarono le scelte politiche del Partito democratico guidato da Matteo Renzi che raggiunse un risultato eccezionale, superando la soglia del 40% dei voti (40,81%) e quasi doppiando il Movimento 5 Stelle, secondo partito con il 21,15% dei voti.

Tuttavia, la strategia di far leva su una duplice maggioranza, una a sostegno del Governo e l'altra più larga a sostegno delle riforme costituzionali e della legge elettorale, nascondeva una contraddizione, essendo le suddette riforme un elemento fondante del progetto politico del Governo. Si configurava, infatti, una situazione difficilmente sostenibile in quanto un partito politico che non faceva parte della maggioranza parlamentare, Forza Italia, era nella sostanza indispensabile per portare a compimento una parte fondamentale del programma di governo. Infatti, uno dei passaggi chiave della vita politica del Governo Renzi è stata la rottura del patto del Nazareno conseguente all'elezione del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, avvenuta il 31 Gennaio 2015 in seguito alle dimissioni di Giorgio Napolitano il 14 Gennaio. Sebbene, l'elezione di Sergio Mattarella sia stata considerata una vittoria di Matteo Renzi nel suo ruolo di segretario del Partito Democratico, questa elezione ha determinato, o è stata un pretesto per determinare, la rottura del patto del Nazareno e un cambiamento negli assetti politici che avrebbero dovuto sostenere il progetto politico del Governo per la parte che riguardava le riforme costituzionali. Anche se poi la legge elettorale e le riforme costituzionali ottennero l'approvazione del Parlamento, il mutamento di posizione di Forza Italia fu determinante per l'esito negativo del referendum costituzionale.

Un altro aspetto che ha inciso sulla vita politica del Governo Renzi è stata l'azione di logoramento condotta attraverso continue critiche dalla minoranza del Partito Democratico, affetto da un insanabile conflitto tra le due anime del partito. Infatti, molte delle critiche mosse all'azione di Governo non hanno tenuto conto della composizione della maggioranza parlamentare a sostegno del Governo. In sostanza, il Governo Renzi è stato trattato come se fosse indipendente dalla maggioranza parlamentare e come se i partiti di centrodestra nella maggioranza non esistessero. Se ne deduce che le critiche al governo provenienti dalla opposizione interna del Partito Democratico fossero mirate a indebolire la figura politica di Matteo Renzi, piuttosto che a contestare la linea politica del partito ovvero l'alleanza di governo con il Nuovo Centrodestra e le altre forze politiche della maggioranza parlamentare con indirizzi politici diversi, e per alcune questioni addirittura diametralmente opposti, rispetto a quelli del Partito Democratico. In questo caso l'ipocrisia delle forze politiche nei confronti della forma di governo parlamentare è andata oltre i consueti atteggiamenti di deresponsabilizzazione degli stessi partiti consentendo di trasferire sull'azione di governo un conflitto politico addirittura interno a un partito.

Anche il duplice ruolo di Matteo Renzi, contemporaneamente capo del Governo e segretario del Partito Democratico, ha avuto ripercussioni sull'azione di governo. Da un lato, ha favorito l'offensiva mediatica delle forze politiche di opposizione e della opposizione interna del Partito Democratico, che hanno potuto trascendere ancora più facilmente la forma di governo parlamentare e identificare agli occhi dell'opinione pubblica il Governo con il Partito Democratico e il Partito Democratico con Matteo Renzi, saltando a piè pari il ruolo svolto dalla maggioranza parlamentare e dagli organi collegiali del Partito Democratico.

Dall'altro lato, il doppio ruolo di Matteo Renzi, ma anche quello di Angelino Alfano (Ministro dell'Interno e leader del Nuovo Centrodestra), ha determinato una forte assunzione di responsabilità dei partiti della maggioranza nei confronti del Governo, impedendo in questo caso al Partito Democratico di scaricare più o meno apertamente il Presidente del Consiglio di turno alle prime difficoltà e di replicare quindi la classica situazione di immobilismo e di instabilità dei governi italiani, consentendo così al Governo Renzi di caratterizzarsi anche per una forte determinazione e un notevole attivismo.

Alla determinazione e all'attivismo del Governo Renzi ha contribuito non poco anche la personalità dello stesso Matteo Renzi, il cui atteggiamento è stato molto criticato e interpretato da più parti come sinonimo di arroganza e superficialità, ma probabilmente a coadiuvare queste interpretazioni sono stati anche alcuni personaggi della minoranza del Partito Democratico, forse offesi dalla irriverenza di alcune idee politiche che hanno favorito l'ascesa di Matteo Renzi.

Il Governo Renzi, grazie anche alla personalità del Presidente del Consiglio, è stato uno dei più produttivi e longevi della Repubblica. Tra i principali provvedimenti approvati o promossi dal Governo Renzi si possono annoverare, a parte la pessima legge elettorale per l'elezione della Camera dei Deputati denominata Italicum (poi dichiarata incostituzionale a causa della sopravvivenza del bicameralismo): il decreto-legge sui contratti a termine denominato "decreto Poletti", il disegno di legge delega sul lavoro denominato "Jobs Act", il ddl Delrio sugli enti locali, il decreto IRPEF sulla riduzione del cuneo fiscale attraverso un credito d'imposta di 80 euro mensili per i lavoratori dipendenti e assimilati con reddito non superiore a 24000 euro lordi l'anno, la riforma della Pubblica amministrazione con i numerosi decreti ad essa collegati, la riforma costituzionale approvata dal Parlamento ma bocciata dagli elettori con il referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, la legge sulla responsabilità civile dei magistrati, il ddl anti-corruzione varato dopo lo scandalo "Mafia capitale", il decreto legge di riforma delle banche popolari, la riforma della RAI, il decreto legge sulle pensioni ribattezzato bonus Poletti conseguente alla intervenuta dichiarazione di incostituzionalità di alcune norme della riforma Fornero, il ddl "La buona scuola", i decreti legislativi di attuazione della legge delega di riforma del sistema fiscale con la revisione della disciplina del contenzioso tributario, dell'organizzazione delle Agenzie fiscali, del sistema sanzionatorio e con la semplificazione e razionalizzazione delle norme in materia di riscossione, stima e monitoraggio dell'evasione fiscale, l'abolizione della Tasi sulla prima casa e dell'IMU sui terreni agricoli, l'innalzamento del limite al contante fino a 3000 euro quale misura utile per rilanciare i consumi, l'introduzione del pagamento del canone Rai nella bolletta elettrica, il blocco dell'aumento delle accise sulla benzina e sull'IVA, lo sblocco del Patto di stabilità per i comuni dotati di risorse finanziarie inutilizzate, il disegno di legge che ha introdotto il reato di omicidio stradale, il decreto-Giubileo con lo stanziamento di 200 milioni destinati alla città di Roma, lo stanziamento di 150 milioni per la riconversione delle aree Expo 2015, il ddl di contrasto al caporalato e al lavoro nero in agricoltura, lo stanziamento di fondi per la bonifica delle aree di Bagnoli e della Terra dei fuochi, la legge Cirinnà sulle unioni civili sulla quale il Governo aveva posto la questione di fiducia al Senato, il ddl "Dopo di noi", la riforma della legge di bilancio.

Senza entrare nel dettaglio dei singoli provvedimenti emanati, che è bene ricordare dovevano comunque essere concordati con le forze politiche della maggioranza, l'attività svolta dal Governo Renzi è stata giudicata positivamente sia dai partner europei che da diversi organismi economici internazionali. Se, invece, si ritiene che i problemi dell'Italia possano essere superati con l'attività di governo del potere esecutivo piuttosto che con l'attività legislativa di una maggioranza parlamentare coesa e omogenea, allora l'operato del Governo Renzi può anche essere considerato insufficiente in rapporto alla situazione di crisi economica in cui versava il paese, fermo restando che la responsabilità della crisi non può certamente essere addebitata ai governi succedutisi nella XVII legislatura.

Il Governo Renzi può essere preso a emblema delle incongruenze del sistema parlamentare italiano, le quali hanno messo in crisi le istituzioni democratiche all'avvio della XVII legislatura. Infatti, è paradossale che il Governo Renzi, nel tentativo estremo di favorire la riforma delle istituzioni sia stato costretto ad assumere un ruolo non contemplato negli equilibri istituzionali della forma di governo parlamentare e poi, in un circolo vizioso, questo ruolo anomalo del Governo sia stato la causa principale del fallimento della riforma, essendo stato il referendum sulla riforma costituzionale interpretato dagli elettori come un referendum sul governo.