La legge elettorale

Le leggi elettorali stabiliscono il sistema elettorale che verrà utilizzato per l’assegnazione dei seggi e le modalità di svolgimento delle elezioni, regolando ad esempio i requisiti per la presentazione delle liste di candidati e la suddivisione in collegi elettorali dei territori.

Urna elettorale

La legge elettorale è una legge di fondamentale importanza in tutte le democrazie poiché detta le regole con le quali i cittadini eleggono i rappresentanti del popolo nelle istituzioni. Le leggi elettorali disciplinano le modalità di presentazione delle liste di candidati alle elezioni, le opzioni di scelta disponibili agli elettori, il numero dei collegi, le modalità di assegnazione dei seggi delle assemblee legislative (parlamenti, assemblee regionali e comunali) etc.

La legge elettorale incide quindi sull'effettiva applicazione dei principi democratici, in quanto è in grado di alterare la rappresentatività degli organi collegiali.

Nei paesi che adottano la forma di governo parlamentare la legge elettorale può parzialmente e indirettamente influenzare anche la governabilità, ad esempio favorendo le aggregazioni tra partiti poltici e di conseguenza la possibilità che si formi una maggioranza parlamentare coesa in grado di garantire la stabilità del governo.

La legge elettorale influisce sulla governabilità del paese e sulla rappresentatività degli organi collegiali soprattutto attraverso la scelta del meccanismo di assegnazione dei seggi - il cosiddetto sistema elettorale - e la definizione delle soglie minime di voti da ottenere per poter partecipare all’assegnazione dei seggi - le cosiddette soglie di sbarramento.

Se la legge elettorale è così importante perché non viene inclusa nella Costituzione e perché si ritiene necessario modificarla o cambiarla? In effetti, nulla vieta elevare al rango di legge costituzionale la disciplina elettorale e anche in Italia non sono mancate proposte in tal senso. Poiché le leggi costituzionali devono essere approvate con un procedimento che necessita di una maggiore condivisione in Parlamento, una legge elettorale di tipo costituzionale sarebbe più difficile da cambiare e meno soggetta a eventuali tentativi di modifica a uso e consumo della maggioranza di turno.

Ma poiché le leggi elettorali devono necessariamente includere un elevato livello di dettaglio e regolamentare aspetti che possono mutare nel tempo, l’orientamento prevalente è quello di includere in Costituzione i principi generali e rimandare a una legge ordinaria la disciplina del procedimento elettorale. Inoltre, la maggiore flessibilità di una legge elettorale di tipo ordinario consente di rimediare più agevolmente agli effetti negativi non previsti di un cambiamento del sistema elettorale nonché di sottoporla al vaglio di legittimità costituzionale.

Modificare la legge elettorale è, tuttavia, un’operazione complicata dalla diffidenza reciproca delle forze politiche che temono di essere svantaggiate dal cambiamento, anche se occorre evidenziare che eventuali tentativi delle maggioranze di turno di modificare la legge elettorale a proprio favore sono scoraggiati dall’effetto boomerang di un possibile cambio di maggioranza, oltre che da un certo grado di imprevedibilità degli effetti delle leggi elettorali in particolare se viene adottato un sistema elettorale complesso.

La volontà di modificare o cambiare legge elettorale, soprattutto nelle democrazie consolidate, è un'esigenza assolutamente legittima che può nascere dalla necessità di allineare il sistema elettorale ai mutamenti sociali, culturali, economici e quindi politici del paese.

Ad esempio, in Italia la necessità di cambiare il sistema elettorale è emersa con forza nei primi anni '90, agli albori della cosiddetta Seconda Repubblica, tuttavia le varie riforme della legge elettorale per l'elezione del Parlamento che si sono succedute nel corso del tempo non solo non hanno raggiunto l'obiettivo sperato di migliorare la stabilità delle maggioranze parlamentari e quindi del governo, ma hanno spesso generato delle incongruenze evidenziate anche dagli interventi della Corte Costituzionale.

Infatti, il nodo cruciale delle discussioni politiche sul tema della legge elettorale non riguarda la necessità di modificarla o cambiarla, ma il come modificarla o cambiarla. Nonostante le forze politiche siano frequentemente unanimi o comunque convergano largamente sulla necessità di modificare o cambiare un sistema elettorale, poi divergono fortemente quando si tratta di scegliere quali modifiche o cambiamenti adottare. Le ragioni possono essere diverse, ma oltre alla imprevedibilità degli effetti spesso prevalgono diffidenza e accuse reciproche di voler piegare la legge elettorale a proprio vantaggio.

Poiché nelle democrazie che adottano la forma di governo parlamentare l'elezione dell'assemblea legislativa determina anche l'indirizzo politico e la composizione del Governo, eventuali modifiche alla legge elettorale presentano un elevato grado di criticità che, generalmente, si riflette in una forte conflittualità tra partiti politici sulle proposte di modifica.

In sintesi, nei paesi che adottano la forma di governo parlamentare i cittadini non eleggono il Governo, ma i componenti del Parlamento, cioè l'organo che esercita la funzione legislativa. Sono i membri eletti nel Parlamento che poi dovranno dare vita al Governo che esercita la funzione esecutiva. Per poter formare il Governo i parlamentari devono prima formare una maggioranza parlamentare. Se i parlamentari non riescono a formare una maggioranza il sistema politico va in stallo, quindi o si forza la formazione di una maggioranza attraverso un governo tecnico oppure si ripetono le elezioni nella speranza che il risultato elettorale sia diverso dal precedente e che le forze politiche riescano poi a formare una maggioranza. Ovviamente, non essendo affatto scontato che la ripetizione delle elezioni possa favorire la formazione di una maggioranza, la ripetizione delle elezioni incontra dei limiti piuttosto stringenti.

E' evidente, quindi, che negli Stati che adottano la forma di governo parlamentare la legge elettorale dovrebbe essere strutturata in modo da agevolare la formazione delle maggioranze parlamentari, fermo restando che la stabilità nel tempo di una maggioranza parlamentare dipende anche da altri fattori e che la stabilità della maggioranza non necessariamente si riflette nella stabilità del governo.

Ad esempio, durante la XVII legislatura con una maggioranza parlamentare sostanzialmente invariata si sono alternati tre governi (Governo Letta, Governo Renzi e Governo Gentiloni) e, paradossalmente, l’unico cambio di maggioranza in conseguenza della scissione del Popolo della Libertà non ha determinato una crisi di governo.

In linea di massima, i sistemi elettorali maggioritari favoriscono le aggregazioni tra partiti politici e la formazione di coalizioni politiche oltre che elettorali, stimolando le forze politiche a organizzarsi in un sistema politico incentrato sul bipolarismo mentre i sistemi elettorali proporzionali tendono a favorire la proliferazione dei partiti e la frammentazione del sistema politico.

Nei sistemi elettorali maggioritari i seggi dell’organo collegiale rappresentativo vengono messi in palio in collegi (circoscrizioni territoriali) uninominali (un seggio per ogni collegio elettorale), quindi l’assegnazione dei seggi complessivi è proporzionale al numero di collegi vinti e non al numero di voti ottenuti dai partiti politici alle elezioni.

Nel sistema elettorale proporzionale, invece, l’assegnazione dei seggi disponibili è effettuata attraverso l’applicazione di formule matematiche in modo da rispettare la proporzionalità tra il numero di seggi complessivi e il numero di voti ottenuti dai partiti politici alle elezioni, fermo restando la presenza di eventuali soglie di sbarramento.

In Italia, nel tentativo di risolvere il problema della governabilità si è cercato di passare da un sistema proporzionale a un sistema tendenzialmente maggioritario, in particolare sono stati adottati dei sistemi elettorali misti, come conseguenza dello scontro tra forze politiche che ha visto i partiti maggiori battersi per il maggioritario mentre i partiti minori opporre forti resistenze.

I sistemi elettorali misti adottati in Italia per l'elezione del Parlamento sono stati: la legge Mattarella, detta anche Mattarellum (leggi 4 agosto 1993 n. 276 e n. 277), dal nome del suo relatore, Sergio Mattarella, che ha regolato le elezioni politiche del 1994, del 1996 e del 2001 e la legge Calderoli (legge n. 270 del 21 dicembre 2005) - poi soprannominata Porcellum, in seguito alla colorita definizione che ne diede lo stesso relatore - che ha regolato le elezioni politiche del 2006, del 2008 e del 2013.

Nel gennaio 2014, con sentenza n. 1/2014, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale parziale della legge Calderoli, abrogando il premio di maggioranza e ripristinando la possibilità di esprimere un voto di preferenza.

Senonché, il 6 maggio 2015 il Parlamento ha approvato una nuova legge elettorale, detta Italicum (legge 6 maggio 2015 n. 52) con decorrenza 1º luglio 2016, ma valida solamente per l'elezione della Camera dei Deputati in quanto la riforma costituzionale, poi bocciata dal referendum confermativo, avrebbe dovuto nel frattempo sancire la trasformazione del Senato in camera delle autonomie territoriali. Anche l'Italicum il 25 Gennaio 2017 è stato sottoposto al giudizio della Corte Costituzionale che ne ha abrogato il ballottaggio ritenendolo incostituzionale.

Riepilogando, durante la XVII legislatura (2013-2018) entrambe le leggi elettorali (per il Senato il Porcellum e per la Camera dei Deputati l'Italicum) sono state modificate da sentenze della Consulta e trasformate in ibridi politico-giuridici per le quali si rendeva necessario almeno un passaggio parlamentare per un'approvazione politica, al fine di ristabilire le prerogative costituzionali del Parlamento e rendere coerenti due sistemi elettorali troppo diversi tra loro.

I partiti politici, come quasi sempre accade quando si tratta di mettere mano alla legge elettorale, sono arrivati agli sgoccioli della XVII legislatura senza riuscire a trovare un accordo ampiamente condiviso, cosicché il Governo è stato costretto a intervenire per costringere il Parlamento a varare la riforma della legge elettorale prima della fine della legislatura.

Infatti, la legge elettorale soprannominata "Rosatellum 2.0" è stata definitivamente approvata il 26 Ottobre 2017 in Senato con 214 voti favorevoli, 61 contrari e 2 astenuti, ma solamente dopo che il governo aveva posto la questione di fiducia sulle precedenti votazioni della legge per ben 8 volte, tre alla Camera dei deputati e cinque al Senato.

Anche questa legge elettorale (legge 3 novembre 2017, n. 165) ha adottato un sistema misto, ma a differenza del Mattarellum e del Porcellum l'impianto generale è sostanzialmente proporzionale poiché il sistema maggioritario è stato adottato solamente per l'elezione di un terzo dei parlamentari. Le alleanze pre-elettorali tra partiti politici avrebbero dovuto quindi riguardare esclusivamente la quota dei collegi maggioritari, prefigurando coalizioni sostanzialmente elettorali piuttosto che di governo ma non tutti i partiti politici hanno interpretato la legge in senso proporzionale.

Infatti, con il risultato delle elezioni politiche del 4 marzo 2018 anche l'applicazione della legge elettorale "Rosatellum 2.0" si è rivelata piuttosto distorsiva della rappresentanza e si è posto immediatamente il problema di una sua ulteriore riforma.

Inoltre, l'approvazione in data 8 ottobre 2019 della legge costituzionale che riduce il numero dei parlamentari eletti - da 630 a 400 alla Camera e da 315 a 200 al Senato - definitivamente promulgata in seguito al referendum confermativo del 20 e 21 settembre 2020, impone quantomeno una ridefinizione dei collegi oltre che un ripensamento della ratio della legge elettorale.

Riferimenti