Giustizia

Uno dei compiti fondamentali del potere statale è la somministrazione della giustizia. La giustizia è, infatti, un servizio pubblico come l’assistenza sanitaria o l’istruzione, ma a differenza di questi è una prerogativa prettamente statale perché l’amministrazione della giustizia deve essere imparziale e indipendente e solamente lo Stato, la massima autorità riconosciuta dai cittadini, può garantire la necessaria indipendenza e imparzialità. Tuttavia, per riuscire a garantire l’imparzialità e l’indipendenza dei magistrati, ovvero dei funzionari pubblici addetti alla somministrazione della giustizia, lo Stato deve essere organizzato in base al principio di separazione ed equilibrio dei poteri. In estrema sintesi il potere giudiziario non deve scavalcare quello legislativo e non deve essere sottomesso al potere esecutivo. Il potere giudiziario deve applicare le leggi esistenti, eventualmente interpretandole ma in modo univoco e senza distorcerle, modificarle o innovarle, a meno che queste non siano in palese contraddizione tra loro. Il potere giudiziario non deve farsi soggiogare dal potere esecutivo che essendo espressione di una parte politica potrebbe essere tentato di strumentalizzare la magistratura per perseguire ingiustamente avversari politici. Occorre, infine, distinguere la magistratura giudicante da quella inquirente, ovvero dai procuratori della Repubblica, che rappresentando l’accusa non sono imparziali ma devono rispettare dei criteri di priorità dell’intervento penale, che eventualmente possono essere definiti anche in collaborazione con il potere esecutivo senza per questo compromettere l’equilibrio dei poteri dello Stato.

Giustizia - simbolo

Uno dei principali compiti degli Stati moderni è quello di amministrare la giustizia, ovvero di fornire alla comunità un servizio pubblico in grado di dirimere i conflitti tra cittadini stabilendo chi ha torto e chi ha ragione, e di giudicare e sanzionare per conto della comunità chi non ha rispettato le regole fondamentali che la società si è imposta. Nel primo caso si parla di giudizio civile mentre nel secondo di giudizio penale.

Mentre la giustizia civile e penale fanno parte della giurisdizione ordinaria che fa capo al Consiglio Superiore della Magistratura (CSM), l'organizzazione giudiziaria italiana si avvale anche di giurisdizioni speciali esercitate dal Consiglio di Stato e dai Tribunali Amministrativi Regionali (TAR), dalla Corte dei conti, dai tribunali militari, dalle Commissioni tributarie regionali e provinciali e dalla Corte costituzionale.

Raramente le problematiche e l'operato delle giurisdizioni speciali entrano nel dibattito politico, fatta eccezione per qualche sentenza dei TAR o del Consiglio di Stato (il secondo grado della giurisdizione amministrativa) e per alcune sentenze della Corte costituzionale quando riguardano: il giudizio di ammissibilità sui quesiti referendari, il giudizio di costituzionalità su leggi particolarmente controverse, l'elezione di un terzo dei giudici della stessa Corte da parte del Parlamento in seduta comune.

I problemi della giustizia ordinaria, invece, monopolizzano spesso il dibattito politico per due ordini di motivi.

La lentezza dei processi

Il primo ordine di motivi riguarda i malfunzionamenti della giustizia ed in particolare la lentezza dei processi civili e penali, cioé l'eccessivo lasso di tempo che intercorre dall'avvio del procedimento giudiziario e la sentenza definitiva che nella maggior parte dei casi corrisponde al terzo grado di giudizio. La lentezza dei processi determina:

  • l'accumulo delle cause pendenti e una massa enorme di fascicoli dei procedimenti arretrati che a volte giace in archivi giudiziari di fortuna privi delle più elementari norme di sicurezza;
  • un eccessivo numero di casi che restano formalmente impuniti a causa della decorrenza dei termini di prescrizione del reato oppure sostanzialmente impuniti perché la sentenza definitiva arriva quando ormai è troppo tardi;
  • la violazione dei diritti umani degli imputati e dei detenuti in attesa di giudizio.

Nello specifico, i malfunzionamenti della giustizia determinano la violazione di diritti umani nei casi in cui:

  • la carcerazione preventiva viene utilizzata come strumento di pressione o si protrae troppo a lungo prima che la colpevolezza dell'imputato venga acclarata in primo grado;
  • sia la carcerazione preventiva che il periodo di pena vengono scontati in carceri sovraffollate e in condizioni che non rispettano la dignità umana;
  • alle persone in attesa di giudizio o di risarcimento viene sostanzialmente negato il diritto alla giustizia, poiché le sentenze non arrivano o arrivano talmente in ritardo che di fatto il reato resta impunito mentre il risarcimento perde la sua capacità ristorativa (ad esempio, nelle cause che riguardano l'uso improprio di marchi e brevetti o più in generale nelle cause che riguardano attività economiche);
  • le inefficienze burocratiche o le cattive condizioni di conservazione dei fascicoli favoriscono la violazione del diritto alla riservatezza dei cittadini (in particolare se si tratta di personaggi pubblici) e gli errori giudiziari che, nonostante il tardivo adeguamento agli standard europei sulla responsabilità civile dei magistrati, creano comunque situazioni difficili da sanare.

Gli effetti dell'inefficienza e della conseguente inefficacia della giustizia si propagano anche all'economia e all'intera società, poiché generano un clima di diffidenza e un senso di insicurezza che si riflette negativamente sulla propensione agli investimenti e sulla fiducia nella magistratura e nelle istituzioni italiane.

Paragonando il settore della giustizia italiana a quello di altri paesi europei emerge che le cause della sua inefficienza non dipendono dal numero di sentenze prodotte annualmente dai magistrati, che riescono a smaltire un carico di lavoro mediamente superiore rispetto ai colleghi europei, nè dalle risorse pubbliche impiegate dallo Stato italiano per il settore, che sono in linea con la media europea.

Le cause sembrano, invece, dipendere in parte dalla organizzazione degli uffici giudiziari che, a parità di risorse pubbliche impiegate, contano negli altri paesi europei un numero di magistrati ogni centomila abitanti decisamente superiore rispetto alla media italiana, e in parte dal numero di contenziosi giudiziari aperti annualmente in Italia che è parecchio superiore rispetto a quello di altri paesi europei e al quale si aggiunge un arretrato che è il più consistente d'Europa.

Per risolvere i problemi della giustizia occorrerebbe quindi ripensare l'organizzazione degli uffici giudiziari, spendendo diversamente le risorse pubbliche che allo stato attuale non sono evidentemente utilizzate in modo efficiente, ad esempio riconfigurando i fabbisogni di personale e le retribuzioni e adottando sistemi informativi e di comunicazione al passo con i tempi.

Per quanto riguarda, invece, l'eccessivo numero di cause e ricorsi intentati annualmente, a parte le inutili recriminazioni sull'eccessiva litigiosità della popolazione italiana, occorrerebbe prendere in seria considerazione la qualità della legislazione italiana che conta un numero di leggi in vigore spropositato rispetto alle altre democrazie occidentali, che non solo non aiuta a formulare decisioni inattaccabili dal punto di vista legale ma addirittura favorisce i tentativi di ricorso basati su cavilli giuridici. Inoltre, una quantità rilevante di questi ricorsi è in realtà costituita da impugnazioni di sentenze di primo e secondo grado, tant'è vero che in Italia impugnare una sentenza è ormai quasi diventata la norma, al contrario di quanto accade in altri paesi europei dove l'impugnazione è scoraggiata da procedure più restrittive e penalizzazioni in caso di insuccesso. In sintesi, il sistema garantista con tre gradi di giudizio, di cui due di merito e il terzo formale, dovrebbe essere concepito e strutturato in modo che sia utilizzato come rimedio per sanare eventuali errori e non come mezzo strategico per ammorbidire o addirittura far saltare le condanne di primo o secondo grado.

Alla luce di queste e delle seguenti considerazioni si capisce perché secondo autorevoli sondaggi la competenza e l'indipendenza dei magistrati, che hanno riflessi sull'equità del processo, siano considerate piuttosto negativamente dalla maggior parte dell'opinione pubblica e perché nelle classifiche stilate dagli organismi indipendenti di valutazione del rispetto dei diritti umani correlati al tema della giustizia negli Stati di diritto l'Italia figuri tra le ultime posizioni. Così come si capisce perché l'Unione Europea abbia più volte richiamato l'Italia esortandola ad attuare delle riforme per sanare la situazione della giustizia italiana.

Il conflitto tra politica e magistratura

Il secondo ordine di motivi, per cui il dibattito politico viene spesso monopolizzato dai problemi della giustizia ordinaria, consiste nel conflitto strisciante ma ciclicamente parossistico tra politica e magistratura.

Occorre subito evidenziare come questo conflitto strisciante costituisca un ostacolo apparentemente insormontabile a un'efficace riforma della giustizia, ovvero alla soluzione dei problemi precedentemente esposti le cui conseguenze si riversano sui cittadini. 

Infatti, ogni volta che una maggioranza parlamentare interviene o tenta di intervenire sul tema della giustizia la discussione tra partiti politici diventa rovente, soprattutto se alimentata da eventuali polemiche provenienti dal mondo della magistratura che vengono puntualmente strumentalizzate dall'opposizione di turno.

In realtà, il rapporto tra politica e magistratura non è del tutto conflittuale se si scompone la politica nelle sue componenti principali di maggioranza e opposizione o, più analiticamente, nei singoli partiti politici. Sono stati i partiti politici a strumentalizzare l'operato della magistratura, giusto o sbagliato che fosse, ai fini della lotta politica. Dall'altro lato però, la magistratura (che come la politica non va intesa come un blocco unico senza crepe) ha occasionalmente fornito qualche aiuto di troppo agli oppositori politici nel mettere sotto scacco maggioranze, governi, partiti e personaggi politici.

In altre parole, la componente più bieca del conflitto tra politica e magistratura non potrebbe essere compresa senza considerare le accuse reciproche tra i partiti politici di utilizzare la magistratura come strumento di lotta politica, in particolare quando:

  • gli avvisi di garanzia, con i quali la magistratura comunica ad un soggetto di essere indagato (non accusato) per qualche ragione specifica, vengono resi pubblici e utilizzati per screditare gli avversari politici;
  • vengono stralciate e pubblicate le intercettazioni telefoniche, spesso anche senza alcun valore probatorio o processuale, di politici ed esponenti delle istituzioni, determinando un rimpallo di accuse che coinvolge anche l'indipendenza dei media e dell'informazione.

E' evidente che questo tipo di accuse reciproche e questo livello di diffidenza sul ruolo della magistratura rende impossibile ai partiti politici trovare un accordo per una riforma della giustizia condivisa.

Tuttavia, sembra anche che le fughe di notizie dagli uffici giudiziari siano in qualche modo tollerate dai partiti politici poiché in determinate situazioni possono far comodo agli stessi partiti. Infatti, questo è un problema che potrebbe essere affrontato e risolto con relativa facilità, stralciandolo dalla riforma della giustizia e prendendo esempio da altri paesi europei.

In sostanza, il conflitto tra politica e magistratura è ambivalente, poiché una parte del problema si configura come un conflitto tra poteri dello Stato mentre un'altra parte è conseguenza di un conflitto politico dove la magistratura, o più precisamente una parte di essa, viene strattonata a seconda delle convenienze a causa di un'innegabile mancanza di fiducia sulla sua reale indipendenza, in particolare per quanto riguarda la funzione inquirente.

Se per un verso, nel contesto delle istituzioni repubblicane un moderato grado di conflittualità tra politica e magistratura in quanto poteri dello Stato può essere considerato salutare per la stessa democrazia, poiché è la testimonianza che nessuno dei due prevale sull'altro, per l'altro verso in Italia questo conflitto è diventato eccessivo, in particolare dopo l'esplosione della cosiddetta tangentopoli.

La rinnovata consapevolezza che il potere giudiziario potesse diventare uno strumento di lotta politica (come generalmente accade nelle dittature e nelle democrazie di facciata dove la magistratura è sottomessa all'arbitrarietà del potere esecutivo) ha fatto emergere due tendenze:

  1. sul piano politico, i partiti politici sono stati invasi dall'angoscia e finanche dall'isteria che la magistratura, e nello specifico la sua funzione inquirente, fosse facilmente strumentalizzabile a fini politici;
  2. sul piano istituzionale, si è effettivamente alterato il rapporto tra potere giudiziario e potere legislativo (e non quello esecutivo), cioè tra Magistratura e Parlamento, portando alla luce un problema di equilibrio tra i poteri dello Stato.

In realtà, per quanto riguarda l'esplosione di inchieste che ha coinvolto la classe politica nel periodo soprannominato tangentopoli, lo squilibrio non è stato generato da un rafforzamento del potere giudiziario ma da un indebolimento del Parlamento.

In effetti, non potrebbe essere altrimenti visto che nessuna norma costituzionale è intervenuta in tal senso, a meno che si voglia considerare decisiva la riforma dell'immunità parlamentare varata il 27 ottobre del 1993, quando fu abolita la norma che impediva ai magistrati di indagare un parlamentare senza aver preventivamente ottenuto l'autorizzazione a procedere dalla Camera di competenza.

Un indebolimento del ruolo del Parlamento sembra confermato anche dalle crescenti difficoltà che le maggioranze di turno hanno poi incontrato durante la cosiddetta Seconda repubblica nel legiferare autonomamente, senza la spinta del Governo (il potere esecutivo). Infatti, per un verso il Parlamento non è stato più capace di esprimere indirizzi politici consistenti e fare le riforme necessarie per il paese, per l'altro verso la classe politica è progressivamente degenerata in casta, assieme a buona parte della classe dirigente italiana, finendo poi imbrigliata nelle maglie delle leggi che essa stessa aveva contribuito ad approvare, leggi che la magistratura aveva il dovere di applicare nei confronti di tutti, quindi anche dei politici (la legge è uguale per tutti).

Certamente, la magistratura strattonata dalla politica ha commesso degli errori, anche per la foga di ribadire la sua autonomia e indipendenza, ma è innegabile che i partiti hanno candidato e fatto eleggere in Parlamento troppi politici inadeguati. Come autorevoli commentatori hanno evidenziato, la magistratura ha dovuto esercitare un ruolo di supplenza nei confronti di partiti incapaci di valutare e selezionare una classe politica dalle regole morali e comportamentali accettabili.

D'altro canto, la funzione inquirente della magistratura ha dimostrato una leggerezza e un'arbitrarietà eccessiva, non solo nel tentativo di perseguire i reati della classe dirigente del paese, considerato che troppo spesso le accuse si sono rivelate infondate, ma anche per quanto riguarda grandi inchieste giudiziarie martoriate o mortificate per aver perseguito false piste con apparente superficialità. Se a questo si aggiunge il problema delle correnti politiche all'interno del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM), ovvero dell'organo che ha il dovere di garantire l'autonomia e l'indipendenza della magistratura, che possono evidentemente tradursi in tentativi da parte della politica di influenzare le scelte del CSM, si comprende meglio il quadro che rafforza l'atavica diffidenza nei confronti della magistratura o quantomeno nei confronti di parte della stessa.

I partiti politici, invece, sono stati vittima delle loro stesse paure poichè la loro principale preoccupazione sembra sia stata di impedire che la magistratura potesse finire sotto il controllo degli avversari politici, piuttosto che preoccuparsi di renderla efficiente per i cittadini e intervenire in modo saggio sulla funzione inquirente per scrollarsi di dosso il dubbio della sua reale indipendenza.

In sostanza, si è creato un circolo vizioso di reciproche diffidenze per cui la magistratura teme per la sua indipendenza nei confronti della politica che vorrebbe riformarla, mentre il potere politico è ostacolato dalle diffidenze delle opposizioni di turno puntellate dalle diffidenze della magistratura stessa.

Il problema quindi è politico, nel senso che non è in gioco l'indipendenza della magistratura in quanto potere dello Stato, ma la sensazione che sia possibile strumentalizzare la magistratura e più specificatamente la sua funzione inquirente, da parte di forze politiche o fazioni avversarie. E' un problema irrisolto che l'atteggiamento diffidente della magistratura nei confronti della politica non aiuta a risolvere.

Riferimenti

Istituzioni

Normativa base